Devozione alla Passione spirituale di Gesù nell’orto degli Ulivi

La Devozione alla Passione spirituale di Gesù nell’orto degli Ulivi nasce dalla volontà stessa di nostro Signore di farci consci del Suo Amore Misericordioso e delle sofferenze inaudite che ebbe a sopportare la sera del Tradimento per poterci Redimere.

Un viaggio, quello del Getsemani, che ci porterà a scoprire quanto realmente Gesù abbia sofferto per poter compiere la volontà del Padre e compiere l’Opera che gli era stata affidata per la nostra Salvezza.

Accompagniamo Gesù nell’orto degli Ulivi, facciamoGli compagnia e permettiamo che le Sue parole possano scalfire il nostro cuore e infuocarlo d’amore per Dio e per il prossimo. Viviamo questo “viaggio” nel orto degli Ulivi con devozione, rispetto e amore, e lasciamo che il Buon Dio ci trasformi con la sua grazia e la luce del Suo Spirito rischiari le tenebre della nostra anima.

La lettura delle Sue parole, di questi fatti e della testimonianza dei santi, sia vissuta con commuovente partecipazione e con cuore aperto, accettando con gioia la grazia che il Cielo ci offre attraverso questi Scritti, non solo per capire a che prezzo siamo stati riscattati dalla Misericordia Divina e trovare forza nella Sua Misericordia per poter essere misericordiosi verso gli altri, ma a farne buon tesoro, per sopportare più facilmente le difficili prove che la vita ci mette davanti e ad imparare a pregare come il Signore Gesù ci ha insegnato.

COME PROCEDERE

Alla fine dell’articolo verrà riportata la Devozione alle sofferenze di Gesù nell’orto degli Ulivi chiesta da Gesù in persona ad un’anima mistica. Per far si che questa Devozione possa essere pienamente vissuta con attenzione e amore, potremmo, di volta in volta, precederla con la lettura di uno tra i brani seguenti proposti per la meditazione. Non è stato imposto da Gesù un orario e un giorno ben preciso per questa Devozione, come nel caso dell’ Ora Santa rivelata a Santa Margherita Maria Alacoque, ma è auspicabile viverla sopratutto il Giovedì sera tra le 9 e mezzanotte, se non altro nei Giovedì di Quaresima e specialmente il Giovedì Santo. Sarà il nostro cuore a intrattenerci il tempo necessario a poter vivere un momento d’amore, compassione, e preghiera, con nostro Signore nell’orto degli Ulivi. Sia che sia un ora, sia che sia di meno o di più, tutto sia fatto con il cuore, per vivere uniti al Sacro Cuore di Gesù e di Maria SS.

PRIMO BRANO SCELTO
Dagli scritti di Suor Maria Cecilia Baij, “Vita interna di Gesù Cristo”.

Essendo arrivati all’orto, lasciai alla prima entrata otto dei miei apostoli, ai quali dissi, che orassero, affinché non li sorprendesse la tentazione. « Orate figliuoli miei», dissi loro, perché ora è tempo di raccomandarvi molto al Padre, onde ottenere che vi liberi dalla tentazione, e vi dia aiuto e forza, essendo vicino il travaglio! Restarono quivi mal volentieri i miei apostoli, presi da grave timore. Con tutto ciò, animati da me, rimasero a pregare, ma, poco dopo, si addormentavano.
Condussi Pietro, Giacomo e Giovanni vicino al luogo dove mi valevo porre ad orare, e quivi li lasciai, esortandoli a fare orazione. Condussi questi tre apostoli presso di me, perché erano stati spettatori della mia Trasfigurazione gloriosa, ed erano quelli, che, più degli altri, si mostravano ferventi. Pietro aveva protestato di voler morire con me, se fosse stato necessario; Giacomo e Giovanni si erano offerti di bere il calice. Lasciatili, dopo aver loro inculcato molto lo star vigilanti e l’orare, perché non entrassero in tentazione, mi allontanai da loro di poco e mi prostrai in terra, per orare al Padre mio.

La mia umanità aveva inteso rincrescimento ed orrore nell’entrare nell’orto, sapendo il grande travaglio e l’amarezza che mi era stata preparata. Animato, però, dal pensiero che andavo ad adempire la volontà del Padre, entrai con generosità, pronto a soffrir tutto. Essendomi posto ad orare al Padre, facendogli profonda adorazione, mi senti riempire tutto di un più grave timore ed amarezza, per l’imminente passione e morte. Intesi orrore per i gravi patimenti, che mi erano stati preparati, ed esposi al Padre il mio travaglio, dicendogli: « Padre mio, se è possibile, passi da me questo calice; nondimeno non si faccia la mia volontà, ma la tua; » mostrandomi così pronto a soffrire tutto per adempire la volontà del Padre. A questa richiesta mi sentii riempire di maggiore tristezza, trovandomi come abbandonato dal Padre, il Quale lasciava che la parte inferiore, cioè, l’umanità mia sentisse tutto il travaglio e l’amarezza, senza, che la parte superiore, cioè, la divinità che era unita a me, mi desse alcun conforto.

Stando quindi solo, abbandonato, senza alcun conforto, mi riempi di grave desolazione. Vidi allora tutte quelle anime che avrebbero patito travagli e tristezze interne, senza trovar conforto alcuno, permettendolo il Padre per altissimi fini. Per esse intesi dolore e pregai il Padre onde si degnasse di raddolcir loro la grave pena, offrendomi pronto a soffrire io tutta l’amarezza e tristezza; capii che il Padre avrebbe addolcito le loro amarezze, in virtù della tristezza sì grande che io soffrivo. Io gliene resi grazie da parte di tutti. Non ti apporti meraviglia, il sentire che, essendo allora come abbandonato dal Padre, con l’umanità mia priva di ogni conforto, da parte della divinità, che a me stava unita, intendessi ciò che il Padre avrebbe operato a favore dei miei fratelli, per i quali istantemente pregavo: questo abbandono era solo per la persona mia, per privare me d’ogni conforto, non già per quello che riguardava il bene e l’utile dei miei fratelli.

Stando, dunque, così in preghiera, vedevo che i miei apostoli si erano addormentati. Volli andare a destarli, perché non li sorprendesse la tentazione: vedevo il nemico infernale che si studiava molto per farli cadere in pusillanimità. Ed allora più che mai, per il tradimento di Giuda, aveva preso ardire, e la faceva da padrone crudele, istigando tutti contro di me, per procurare la mia morte, perché, stando io al mondo, gli erano di gran tormento le perdite che faceva. Non potendo il nemico penetrare, che io fossi veramente il Messia promesso, i demoni fecero fra di loro un conciliabolo, risolvendo di istigar tutti contro di me, e farmi patire, per mezzo dei ministri di giustizia, tutti gli strapazzi ed i tormenti immaginabili, sperando di farmi perdere la virtù della pazienza, che sino allora avevo esercitata, come anche per scoprire chi fossi.

Alzatomi pertanto dalla mia penosa orazione, andai a destare i discepoli che dormivano. Dissi loro che vegliassero ed orassero, perché non entrassero in tentazione. Destati i discepoli, e postisi di nuovo ad orare, tornai alla mia orazione. Allora supplicai il Padre a volersi degnare di destare i miei fratelli, quando fossero sorpresi dal sonno pernicioso della tiepidezza e della trascuratezza dell’obbligo di attendere alla loro eterna salute. E vidi, che il Padre l’avrebbe fatto con vari e opportuni rimedi, secondo il bisogno di ciascuno. Per questo intesi qualche sollievo alla mia grave amarezza, benché sentissi molta pena, nel vedere che pochi se ne sarebbero approfittati, ritornando a dormire, come fecero i miei apostoli, che il nemico infernale procurava di opprimere col sonno, perché non facessero orazione; in tal modo stimava di poterli vincere facilmente.
Vidi allora io tutti quelli cui il demonio avrebbe impedita l’orazione, perché, trovandoli sprovvisti di questa fortissima e potentissima arma, può vincerli molto facilmente. Per questo parlai tanto ai miei apostoli della necessità di fare orazione, e nella persona dei miei, apostoli, a tutti i miei fratelli. Pregai il divin Padre di dar lume a tutti, affinché conoscano questa verità, e la necessità grande che ognuno ha di orare, per poter vincere il nemico infernale. E vidi, che il Padre non avrebbe mancato di dare a tutti il suddetto lume. Vidi ancora che molti se ne sarebbero approfittati, e, con questa potente arma, avrebbero vinto i loro nemici, ottenendo molte grazie dal divin Padre. Di ciò godei, benché sentissi grande amarezza nel vedere il numero grande di coloro che se ne sarebbero abusati, rimanendo vinti dai loro nemici infernali. Volli anche lasciare esempio ai miei seguaci, che a volte devono lasciare i pii esercizi, per aiutare i loro prossimi bisognosi, in pericolo di perdersi, affinché tornassero poi a pregare, come vi tornai io.

Genuflesso, adorato ancora il divin Padre, tornai a supplicarlo dicendo: «Padre mio, se è possibile, passi da me questo calice; non si faccia però la mia volontà, ma la tua ». Volli anche in questo, lasciare esempio ai miei fratelli, insegnando il modo con cui devono pregare il Padre, esponendogli il loro desiderio, rimettendosi, però, tutti al divin beneplacito.

In questa seconda orazione, sentendomi abbandonato, mi riempi di più grave tristezza: e come derelitto, v’intesi tedio e mestizia. Si rappresentarono alla mia mente tutti i patimenti che avrei dovuto soffrire nel corso della mia acerbissima passione: le ingiurie, gli strapazzi, le derisioni. Permisi alle dette passioni che mi tormentassero per soffrirne volontariamente tutta l’amarezza, la pena, lo sfogo sopra la persona mia, onde ottenere che restassero mitigate e raddolcite per tutti i miei fratelli, quando essi le avessero dovute soffrire per l’adempimento della volontà del divin Padre.

Trovandomi, perciò, in grande abbattimento, oppresso da tante pene, ricolmo di affanno, mi ridussi in mortale agonia, senza conforto alcuno. Vedevo anche la mia diletta Madre, che si trovava in grande affanno, perché sentiva, nel suo cuore amante, i crucci che io stavo provando; questo accresceva il mio travaglio. Tutti i miei discepoli dormivano, ed io ero solo, derelitto, abbandonato, tra sfinimenti di morte. Non vi era chi mi dicesse una parola di conforto. E ciò che più mi crucciava era l’abbandono del Padre. Prolungai con tutto ciò la mia penosa orazione, soffrendo allora nella mente tutto ciò che poi avrei sofferto nel corpo durante la mia acerbissima passione.

O sposa mia, quanto vidi e quanto intesi di travaglio e di pena in questa penosissima orazione! Offrivo tutto al Padre in sconto delle offese, che riceveva dai miei fratelli. Stando in sì penosa agonia, soffrivo anche una grandissima debolezza di forze corporali; prostrato colla faccia in terra, replicavo le preghiere al Padre; ma il Padre mi lasciò in grave affanno, dimostrando di non ascoltarmi. 

Essendo stato per un pezzo a penare in tal modo, mi alzai a fatica dall’orazione, ed andai di nuovo a destare i miei apostoli, che dormivano, dicendo a Pietro: Simone, anche tu dormi? Non hai potuto vegliare neppure un ora con me? Volevo con queste parole fargli conoscere, che, se non poteva stare per breve tempo in orazione e vegliare con me, come poi avrebbe potuto morire con me, se fosse stato necessario? Dissi queste parole a Pietro, e, nella persona sua, a tutti quelli che fanno promesse, di voler patire e soffrire grandi cose per amor mio e per imitarmi, e poi, all’occasione, non sanno soffrire neppure un incomodo, né la privazione di una minima soddisfazione, come fece Pietro, che non seppe superare un po di sonno. Vidi allora tutti coloro che l’avrebbero imitato in questo suo darsi al sonno durante il mio grave travaglio, e ne intesi amarezza.

Svegliati i miei apostoli, dissi loro il mio grande patire:
« Sappiate che l’anima mia si trova in tristezza, sino a soffrire l’agonia di morte». Ciò dissi loro con parole molto compassionevoli; ma essi, sbigottiti ed oppressi dal sonno, non mi dissero neppure una parola di conforto. Onde io, tutto afflitto e amareggiato, di nuovo ricorsi all’orazione.

Prostrato in terra e adorato il divin Padre, Gli ripetei: «Padre mio, se è possibile, passi da me questo calice: non si faccia, però, la mia volontà, ma la tua». Il Padre neppure allora mi confortò, ma, lasciandomi abbandonato alla mestizia, alla tristezza e all’amarezza, mi riempì di un più grave affanno.

Allora si presentarono alla mia mente tutti i peccati dei miei fratelli, dal principio sino alla fine del mondo, con tutto il loro peso, gravezza e misura. Vidi la mia persona che si era addossata tutto il peso per pagare alla divina giustizia una traboccante soddisfazione. Vidi l’ira paterna contro di me, per le colpe addossatemi. Vidi la gravezza delle offese al divin Padre, da me infinitamente amato. Vidi, di nuovo, la gravezza ed acerbità della mia passione e morte, per pagare il debito di tanti delitti. Vidi il numero grandissimo di quelli che si sarebbero dannati, per i quali sarebbero stati inutili i miei gravissimi patimenti ed il mio sangue sparso con tanta carità ed amore. Vidi le offese di coloro che si sarebbero salvati, e che pur essendo anime elette, avrebbero offeso molto il divin Padre, ravvedendosi poi. Vidi tutto ciò che si sarebbe operato nel mondo. Vidi la dignità della mia persona esposta a sì gravi tormenti, e il poco conto che i miei fratelli ne avrebbero fatto. Allora, immerso in un mare di crucci e di tormenti, rivolgendomi al Padre, provai un grandissimo dolore per le molte e gravi offese che aveva e che avrebbe ricevuto sino alla fine del mondo; ed in siffatto dolore caddi in terra bocconi, sudando vivo sangue, che, uscendo dal mio corpo, scorreva in terra a gocce ben grosse. Offri quel sangue al Padre per placare il suo sdegno, in caparra di quello che avrei sofferto durante la mia passione e morte, e di tutto il sangue che avrei in essa versato.

Stando in così grave tormento, bagnato di sanguigno sudore, agonizzante, caduto in terra, vedevo che il traditore Giuda e tutta la sbirraglia si erano adunati insieme per venire a prendermi. Ciò causava maggior cruccio al mio cuore afflitto, in modo che arrivarono al colmo le mie pene, i miei dolori e la mia amarezza. Mi trovavo in tale stato che sarei morto, se il Padre, con la sua potenza, non mi avesse conservato in vita. In me la divinità serviva solo per questo prodigio: che non restassi morto sotto il peso di sì gravi tormenti.
Alla fine si placò il Padre, per l’offerta che gli feci dell’acerbissimo dolore, della contrizione che avevo di tutte le offese del genere umano é del sudore sanguigno che versai; per cui, soddisfatta appieno la divina giustizia, Egli mandò un angelo perché mi confortasse e mi animasse a bere l’amaro calice della passione, essendo quella la volontà Sua.

Udita la volontà, del Padre mio, e confortato dall’angelo, mi alzai da terra con generosità, bramando di adempirla. Riacquistate le forze, adorai di nuovo il Padre, lo ringraziai del conforto inviatomi, e gli offri tutto ciò che avevo patito, in sconto di tante offese del genere umano, supplicandolo di molte grazie per tutti i miei fratelli, in virtù di quello che gli offrivo.
Mentre stavo agonizzante, vidi tutti i miei fratelli ad uno ad uno, e non solo vidi tutte le offese che avrebbero fatte al Padre mio, ma anche tutti i loro bisogni e necessità, sia spirituali che temporali, e ne intesi compassione. Perciò, riavuto dalla penosissima agonia, pregai il divin Padre per tutti in generale, e per ciascuno in particolare, affinché si fosse degnato di soccorrerli con la sua divina grazia, secondo il loro bisogno. Gli domandai questo, in virtù di quanto avevo patito. Il Padre così fu placato per le offerte che gli avevo fatto e per la contrizione che per tutti avevo avuta e vidi, che non avrebbe mancato di fare quanto gli chiedevo. Di questo intesi consolazione, benché fu più l’amarezza e soffri, nel vedere il gran numero di quelli, che se ne sarebbero abusati. 

Supplicai ancora il Padre di dare ai miei fratelli un vero dolore di tutte le loro colpe, quando gliel’avessero domandato con umiltà, e specialmente a quelli, che, stando vicini alla morte, nella penosa agonia, ne hanno grande necessità. Questo glielo domandai in virtù della contrizione che io ebbi, allorché ero agonizzante. Vidi che il Padre gliel’avrebbe dato, e che molti, per questa contrizione, si sarebbero salvati. Io ne intesi consolazione e ne resi grazie al Padre. Ebbi però dell’amarezza, nel vedere che molti se ne sarebbero resi indegni, perché durante la loro vita, non l’avrebbero richiesta mai al Padre, ed in morte non se ne sarebbero neppur curati, per cui sarebbero periti miseramente. Gli domandai ancora, in virtù della pena che soffri nella mia penosa agonia, che si fosse degnato di addolcire le amarezze dell’agonia a tutti i miei fratelli, e che, infine li avesse confortati, così come aveva fatto con me, mandandomi l’angelo confortatore. Il Padre tutto mi promise, e vidi che avrebbe tutto eseguito fedelmente con paterno amore. Di ciò gli resi le dovute grazie, anche a nome dei fratelli. 

Ottenuto tutto dal Padre, lo lodai e lo ringraziai per tanta misericordia e bontà, ed andai di nuovo dai miei apostoli, che dormivano, ma con timore, per quello che avevo detto loro prima; quindi soggiunsi che dormissero e riposassero anche, per quel breve tempo che ci restava, giacché non avevano potuto vegliare. Poi, ritirato di nuovo, mi offri al Padre, pronto a soffrire quanto mi era preparato nel corso della mia acerbissima passione, per adempire la sua volontà divina. Anzi, acceso da una brama ardente di patire, aspettavo l’ora con gran desiderio ed amore, perché si compisse l’opera dell’umana redenzione.

Andai a destare i miei discepoli, dicendo : «Alzatevi ed andiamo incontro ai miei nemici, perché si avvicina l’ora, nella quale il Figliuolo dell’uomo sarà dato in mano ai peccatori. Ecco, che si appressa il traditore ». Si destarono i miei apostoli, ma tutti sbigottiti, per le suddette parole, ed intimoriti, perché, non avendo orato, come io avevo ordinato loro, si trovarono privi della forza e della virtù, che suole apportare all’anima la fervente orazione. 

Hai inteso, sposa mia, come sia necessaria l’orazione; perciò ti stia a cuore la pratica di questo sì importante esercizio, non trascurandola giammai, perché tu sia ben provvista di armi per combattere contro i tuoi nemici infernali, contro le tue passioni, ed anche per ottenere dal Padre mio le grazie, per te per i tuoi prossimi. Offri spesso la contrizione che ebbi, in questa mia penosa orazione, con il sangue che sparsi, per la conversione dei peccatori e per ottenere il perdano delle offese e ti assicuro che il Padre mio gradirà molto quest’offerta; domandaGli anche una vera contrizione ed il dolore per te e per i tuoi prossimi, specialmente per i peccatori, perché piace molto al Padre mio un cuore contrito ed umiliato. Nella tua orazione domanda tutte le grazie necessarie per te e per i tuoi prossimi, e, se vedi che non sei esaudita, non ti perdere d’animo, ma continua a domandare. Non ti stanchino mai il tedio e la tristezza che, a volte, proverai in questo esercizio, ma uniformati sempre alla divina volontà. Hai inteso il modo con cui devi orare e domandare: esponendo il tuo bisogno, o il tuo desiderio, e rimettendoti alla volontà del Padre. E, quando intendi la sua volontà, eseguiscila con prontezza, senza replica, senza turbamento, come feci io, quando, udita la volontà del Padre, che dovessi bere l’amaro calice, subito mi alzai ed andai incontro ai miei nemici. E fa tutto con amore e desiderio di dar gusto al mio divin Padre.

SECONDO BRANO SCELTO
Dagli scritti di Suor Josefa Menéndez

Umiliati, bacia la terra – dice Gesù a Josefa – e vieni con me… andiamo al Getsemani… e la tua anima si riempia dei sentimenti di tristezza che inondarono la mia in quell’ora.

Dopo aver predicato alle turbe, curato gli infermi, dato la vista ai ciechi, risuscitato i morti… dopo aver vissuto tre anni in mezzo ai miei apostoli, per formarli ed insegnare la mia dottrina… avevo infine appreso loro con l’esempio ad amarsi e sopportarsi vicendevolmente, ad esercitare la carità verso gli altri, lavando loro i piedi e facendomi loro cibo.

«Ora è giunta l’ora in cui il Figlio di Dio fatto uomo, Redentore del genere umano, sta per spargere il suo sangue e dare la vita per il mondo….».

In quell’ora volli pormi in preghiera per abbandonarmi alla volontà del Padre mio. Anime care, imparate dal vostro Modello che l’unica cosa necessaria, per grandi che siano le ribellioni della natura, è di sottomettersi e offrirsi umilmente con atto coraggioso della volontà a fare quella di Dio in qualsiasi circostanza. Imparate anche da Lui che ogni azione importante deve essere preceduta e vivificata dalla preghiera, perché nell’orazione l’anima attinge la sua forza nelle ore difficili e Dio le si comunica, consigliandola, ispirandola, anche se essa non se ne accorge.

Mi ritirai nell’orto degli ulivi, cioè nella solitudine, per insegnare alle anime a cercare Dio lontano da tutto e nell’intimo di loro stesse. Per trovarLo facciano tacere i moti della natura, così spesso contrari alla grazia, i ragionamenti dell’amor proprio o della sensualità che sempre cercano di soffocare le ispirazioni della grazia e si oppongono al contatto dell’anima con Dio… Adorate i suoi disegni su di voi qualunque siano… e tutto il vostro essere si prostri come conviene che faccia una creatura alla presenza del Creatore!

Così mi offersi Io per compiere l’opera della redenzione del mondo. Nello stesso istante sentii pesare su di me tutti i tormenti della passione: le calunnie e gli insulti… i flagelli e la corona di spine… la sete… la croce!… Tutti quei dolori si affollarono davanti ai miei occhi insieme con la moltitudine delle offese, dei peccati e dei delitti che si sarebbero commessi nel corso dei secoli. E non soltanto li vidi, ma me ne sentii ricoperto… e sotto questo fardello d’ignominie mi dovetti presentare al Padre celeste per implorare misericordia. Allora sentii su di me la collera di Dio offeso ed irritato e mi offersi come garante, Io, suo Figlio, per calmare il suo sdegno e soddisfare alla sua giustizia. Ma sotto il peso di tanti delitti la mia natura umana fu presa da tale angoscia, da tale agonia mortale, che tutto il mio Corpo fu coperto di un sudore di sangue.

O peccatori, che mi fate soffrire in tal modo!… vi darà questo sangue la salvezza e la vita?… o sarà perduto per voi? Come esprimere il mio dolore al pensiero di questo sudore, di queste angosce, di questa agonia, di questo sangue… inutile per tante e tante anime?…

Avvicinati a me, e quando mi vedrai immerso in un oceano di tristezza, vieni con me a cercare i tre discepoli che ho lasciato ad una certa distanza. Li avevo presi con me per riposarmi presso di loro facendoli partecipi delle mie preghiere e della mia angoscia. Ma come esprimere ciò che provò il mio Cuore quando, cercandoli, li trovai immersi nel sonno? Com’è triste, per chi ama, trovarsi solo, senza potersi confidare con i suoi cari!… Quante volte il mio Cuore soffre lo stesso dolore… e quante volte cercando qualche sollievo presso le anime scelte le trovo addormentate!… Invano cerco di destarle e di trarle fuori da se stesse, dalle loro preoccupazioni personali, dalle loro vane ed inutili occupazioni… Troppo spesso mi rispondono, se non a parole, almeno con i fatti: ora non posso… ho troppo da fare… sono troppo stanca… ho bisogno di pace!… Allora – insistendo – dolcemente Io ripeto a quest’anima: vieni un momento, vieni a pregare con me: è adesso che Io ho bisogno di te: non aver paura di lasciare per me questo riposo, perché Io stesso sarò la tua ricompensa… E ricevo la stessa risposta!… Povera anima sonnacchiosa che non può vegliare un’ora con me!…

Anime care, imparate qui ancora come sia inutile e vano cercare sollievo presso le creature. Quante volte non troverete presso di loro che un accrescimento di amarezza perché esse sono addormentate e non corrispondono né alla vostra fiducia né al vostro amore…

Ritornando alla mia preghiera, mi prostrai un’altra volta, adorai il mio Padre, implorando il suo aiuto… Non dissi: «Mio Dio», ma «Padre mio». Quando il vostro cuore soffre di più, allora dovete chiamare anche voi Dio vostro Padre. SupplicateLo di aiutarvi, esponeteGli le vostre sofferenze, i vostri timori, i vostri desideri, e con il grido della vostra angoscia ricordateGli che siete sue figlie. DiteGli che il vostro corpo è sfinito… il vostro cuore oppresso fino alla morte… che l’anima sembra sperimentare il sudore di sangue. PregateLo con fiducia filiale e aspettate tutto da Colui che vi è Padre. Egli vi consolerà e vi darà la forza necessaria per affrontare la tribolazione e la sofferenza, sia la vostra che quella delle anime a voi affidate.

L’anima mia, triste e sgomenta, doveva sopportare un’angoscia ancora più mortale poiché, sotto il peso delle iniquità degli uomini, e in ricambio di tanti patimenti e di tanto amore, non vedevo che oltraggi e ingratitudini! Il sangue che mi sgorgava da tutti i pori, e che avrei versato da tutte le mie ferite, sarebbe stato inutile per tante anime!… molte sarebbero andate perdute… altre in più gran numero mi avrebbero offeso… e moltitudini intere non mi avrebbero neppure conosciuto…

Ed il mio sangue lo avrei sparso per tutte, e i miei meriti sarebbero stati offerti ad ognuna!… Sangue divino! Meriti infiniti!… inutili per tante e tante anime!… Si, per tutte avrei versato il mio sangue e tutte sarebbero state amate di grande amore… Ma quante per cui questo amore sarebbe stato più delicato, più tenero, più ardente!… Da queste anime scelte mi sarei aspettato più consolazioni e più amore, più generosità e abnegazione… in una parola, più corrispondenza alla mia bontà…

Vidi in quel momento molte tra esse allontanarsi da me… alcune chiudere le orecchie alla mia voce… altre ascoltarla senza seguirla… altre corrispondere alla chiamata per un po’ di tempo, ed anche con una certa generosità… poi addormentarsi a poco a poco, dicendomi infine con le loro opere: ho lavorato abbastanza… sono stata fedele ai miei obblighi fino alle minuzie… ho vinto la natura… ho praticato l’abnegazione… ora ho bisogno di un po’ di libertà… non sono più una bambina… tante rinunzie… tanta vigilanza non mi occorrono più… posso ben dispensarmi da quella cosa che m ‘incomoda, ecc… «Povera anima! Così dunque tu incominci a dormire?… Fra poco ritornerò e nel tuo sonno non mi sentirai più… ti offrirò la mia grazia e tu non la riceverai… Avrai tu la forza di risvegliarti un giorno? Non c’è piuttosto da temere che, rimasta così a lungo senza nutrimento, ti indebolisca e non possa più uscire dal letargo?… Anime care, sappiate che molte furono sorprese dalla morte in mezzo ad un sonno profondo… e dove, e come si risvegliarono?

Tutto questo fu allora presente ai miei occhi e al mio Cuore. Che fare?… Retrocedere?… domandare al Padre mio di liberarmi da quell’angoscia?… Rappresentargli l’inutilità del mio sacrificio per tante anime?… No, mi sottoposi nuovamente alla sua santissima volontà e accettai il mio calice per esaurirlo fino alla feccia! L’ho fatto per insegnarvi, anime care, a non indietreggiare di fronte alla sofferenza. Non credetela inutile mai, anche se non ne vedete il frutto. Sottomettete il vostro giudizio e lasciate che si compia in voi la volontà divina. Per me, Io non volli retrocedere né fuggire. E pur sapendo che là, in quel giardino, i miei nemici stavano per prendermi, vi restai.

Dopo essere stato confortato dall’Angelo inviatomi dal Padre, vidi avvicinarsi Giuda, uno dei miei dodici apostoli, e dietro a lui quelli che dovevano catturarmi. Erano armati di bastoni e di pietre ed erano carichi di catene e di corde per impossessarsi di me e legarmi. «Mi alzai e avvicinandomi a loro dissi: Chi cercate? Allora Giuda, posandomi le mani sulle spalle, mi abbracciò!

Che fai, Giuda? Che significa questo bacio?… A quante anime potrei dire: Che fate?… perché mi tradite con un bacio? Anima che Io amo, che vieni a ricevermi e che tante volte mi hai ripetuto di amarmi… mi hai appena lasciato e già mi consegni ai miei nemici!… Ben sai che in quella riunione che ti attira si fanno discorsi offensivi per me, e tu che mi hai ricevuto stamani e che forse mi riceverai domani… perdi in quel luogo il candore prezioso della mia grazia!… Ad un’altra dirò: Perché persisti in quell’affare che t’insozza le mani? Non sai che non è lecito il mezzo con cui ti procuri quel guadagno, quella posizione, quel benessere?… Tu mi ricevi, tu mi abbracci come Giuda… perché fra qualche istante, fra qualche ora, darai tu stessa ai miei nemici il segno dal quale mi riconosceranno per impadronirsi di me! Mi rivolgerò anche a te, anima cristiana, che mi tradisci con quell’amicizia pericolosa. Non solo mi incateni e mi lapidi tu, ma per causa tua anche un’altra persona mi tradisce. Perché mi consegni così… mentre mi conosci e in varie occasioni ti glori della tua pietà e della tua carità?… Senza dubbio potresti raccogliere un gran merito… ma in realtà che cosa sono se non un velo che copre la tua malizia?…

Amico mio, perché sei venuto? Giuda, con un bacio tradisci il Figlio di Dio, il tuo Maestro e Signore! Colui che ti ama e che è pronto a perdonarti ancora!… Tu, uno dei miei dodici!… Tu, uno di quelli che sono stati a mensa con me, e a cui Io ho lavato i piedi!…

Quante volte Io posso e devo parlare così alle anime predilette del mio Cuore!… Anima amata, perché ti lasci trasportare da quella passione?… perché le lasci libero corso?… Non è sempre in tuo potere liberartene: ma Io non ti domando che di combattere, di lottare, di resistere… Che sono i godimenti di pochi istanti se non i trenta denari per i quali Giuda mi tradì e che servirono unicamente alla sua rovina? Quante anime mi hanno venduto e mi venderanno ancora per il prezzo vilissimo di un piacere passeggero!… povere anime… chi cercate? Me?… Quel Gesù che avete conosciuto, che avete amato!… Lasciate che vi dica queste parole: vegliate e pregate! Sì, lavorate senza tregua affinché i vostri difetti e le vostre inclinazioni non diventino abitudini.

Ogni anno, spesso anche ad ogni stagione, bisogna falciare l’erba dei campi: bisogna arare la terra per fortificarla e svellerne le erbe cattive. Così l’anima deve sorvegliare e raddrizzare con cura le sue difettose inclinazioni. Non è sempre la colpa grave quella che apre la via ai peggiori disordini. E il punto di partenza verso le cadute più gravi è spesso una piccola cosa: un piccolo godimento, un momento di debolezza, una condiscendenza, forse lecita, ma poco mortificata, un divertimento legittimo in sé, ma poco conveniente… E mentre tutto questo cresce e si moltiplica, l’anima a poco a poco si acceca, la grazia ha sempre meno efficacia, la passione si fortifica e finisce per trionfare. Com’è triste per il cuore di un Dio che ama infinitamente vedere tante anime insensibilmente avviarsi all’abisso…

Ricordati – dice Gesù a Josefa – che non sono i tuoi meriti che attirano verso di te il mio Cuore, ma la tua miseria e la compassione che ho per te!… Prendi la mia croce e non temere. Non supererà mai le tue forze poiché l’ho misurata e pesata sulla bilancia dell’amore. Sai tu veramente quanto ti amo? E quanto amo le anime? Per esse Io mi servo di te, perché per quanto piccola tu sia e per quanto poco tu valga, voglio utilizzare la tua piccolezza conservandoti unita ai miei meriti ed al mio Cuore. Rimani con la mia croce e soffri per le anime e per mio amore!

… Bacia la terra e umiliati!…Ti ho detto, Josefa, come le anime che mi offendono gravemente mi consegnano ai miei nemici affinché mi diano la morte, anzi sono esse che si costituiscono mie nemiche e l’arma della quale si servono contro di me è il peccato. Però non sempre si tratta di gravi cadute. Vi sono anche anime, persino tra quelle che ho scelto (cioè consacrate e religiose), che mi tradiscono con le loro colpe abituali, le cattive tendenze non combattute, le concessioni alla natura immortificata, le mancanze alla carità, all’obbedienza, al silenzio, ecc… E se il mio Cuore soffre per le colpe e le ingratitudini del mondo, quanto più quando si tratta delle offese che gli vengono da anime particolarmente amate!…

Se il bacio di Giuda mi cagionò tanto dolore, fu precisamente perché egli era uno dei miei dodici e da lui come dagli altri attendevo più amore, più consolazione, più delicatezza! Da voi, scelte per luogo del mio riposo e giardino delle mie delizie, anche da voi aspetto molto più amore, tenerezza e delicatezza che non da altre anime che non mi sono così intimamente unite!… Tocca a voi essere il balsamo delle mie ferite, asciugarmi il volto deturpato e sfigurato, aiutarmi ad illuminare tante anime cieche, che nell’oscurità della notte mi afferrano e mi legano per condurmi alla morte. Non lasciatemi solo… Destatevi e venite a pregare con me, perché gia i miei nemici sono arrivati.

Quando i soldati si avvicinarono per prendermi dissi loro: «Sono Io!». Ed ecco le parole che ripeto all’anima che si avvicina al pericolo ed alla tentazione: «Sono Io». Sì, «Sono Io». Tu vieni per tradirmi e consegnarmi: non importa! Vieni, perché sono tuo Padre e se vuoi, c’è tempo ancora: ti perdonerò e invece di legarmi tu con i tuoi peccati ti stringerò Io con i legami del mio amore. Vieni, sono Colui che ti ama, Colui che ha sparso il suo sangue per te! Ho compassione della tua debolezza e ti aspetto ansiosamente per riceverti nelle mie braccia! Vieni, anima di mia sposa, anima di mio sacerdote!… Sono l’infinita misericordia! Non temere, non ti punirò… non ti respingerò… ma ti aprirò il mio Cuore e ti amerò con maggior tenerezza… La tua bellezza ritrovata farà l’ammirazione del cielo e il mio Cuore si riposerà in te.

Ah! Quale tristezza per me, quando dopo questo invito ad anime cieche ed ingrate, esse mi legano e mi conducono alla morte! Dopo che mi ebbe dato il bacio del tradimento, Giuda uscì dall’orto e, comprendendo l’enormità del suo delitto, si disperò. Chi potrà misurare il mio dolore quando vidi il mio apostolo correre alla perdizione eterna?… Ma era venuta l’ora e, lasciando ogni libertà ai soldati, mi consegnai a loro con la docilità di un agnello. Mi trascinarono subito alla casa di Caifa, dove fui ricevuto con beffe ed insulti e dove uno dei servi mi diede il primo schiaffo! Il primo schiaffo… Josefa, comprendilo bene: questa sofferenza superò forse quella dei colpi dei flagelli?… No, senza dubbio, ma in quel primo schiaffo vidi il primo peccato mortale di tante anime fino allora in stato di grazia… e dopo il primo… quanti ancora!… E quante anime trascinate dall’esempio allo stesso pericolo… forse alla stessa sventura: quella di morire in peccato!

… passa oggi la giornata – conclude Gesù – riparando e pregando affinché molte anime conoscano dove conduce la strada che battono…


TERZO BRANO SCELTO
Secondo la beata Anna Caterina Emmerich

Attraversarono un ponte sul torrente Cedron e si fermarono nel giardino del Getsemani. Era questo un luogo adatto alla meditazione e alla preghiera; qualche volta veniva anche utilizzato dalle persone prive di un proprio giardino per organizzarvi feste e banchetti. Il Getsemani è ampio, circondato da una siepe, pieno di alberi e di fiori. Vidi anche alcune capanne di frasche. Gli apostoli avevano la chiave del giardino.

Nelle notti precedenti Gesù vi si era ritirato con i suoi apostoli per istruirli circa la scienza divina; quella notte, però, scelse di pregare solo nell’orto degli Ulivi, che è lì vicino, cinto da un muro. Il Signore lasciò otto apostoli all’ingresso del Getsemani e portò con sé soltanto i prediletti: Pietro, Giacomo e Giovanni. Giunto nell’angolo più incolto dell’orto interno, in cui si trovano piccole grotte e molti ulivi, Gesù di venne molto triste perché sentì vicina la sua ora. L’angoscia di quel momento si rispecchiava chiaramente sul suo volto. Allora Giovanni gli domandò perplesso: «Signore, come mai sei così triste, tu che ci hai sempre dato conforto e coraggio e ci hai consolato nei tempi peggiori?». Egli gli rispose: «La mia anima è triste fino a morire!» Guardandosi intorno vide avanzarsi nubi cariche d’immagini orrende: erano le tentazioni della vicina prova. La sua passione spirituale stava per avere inizio. Prima di ritirarsi nella solitudine orante, Gesù disse ai tre: «Mentre io vado a pregare nel luogo che ho scelto, resta te qui e vegliate: pregate per non cadere nella tentazione. Ricordate che lo spirito è pronto, ma la carne è debole!». Così dicendo, nella sua sconfinata angoscia interiore, Gesù scese per un piccolo sentiero ed entrò in una grotta profonda sei piedi. Vidi spaventose figure affollare minacciose la stretta caverna dove il Signore si era ritirato a pregare. Fu qui, ai piedi del monte degli Ulivi, che Adamo ed Eva piansero disperati il loro peccato. Vidi i nostri progenitori nello stesso luogo in cui Gesù depose la sua divinità nelle mani della santissima Trinità, affidando la sua innocente umanità alla giustizia di Dio. Con questo sublime atto di carità il Redentore si donava interamente al Padre quale vittima riparatrice dei nostri peccati. Tutte le colpe del mondo, commesse dall’uomo fin dal la sua prima caduta, gli apparvero a miriadi nella loro completa mostruosità. Nella sua sconfinata angoscia, Gesù supplicò il Padre celeste di perdonare i pensieri malvagi e le offese degli uomini, offrendogli in cambio la sua suprema espiazione. La grotta si era affollata di forme spaventose, immagini delle passioni, dei vizi e delle malvagità del genere umano. Vidi il Redentore abbandonarsi alla sua natura umana e prendere sopra di sé le nefandezze del mondo. Era su dato, stremato e angosciato di fronte agli innumerevoli peccati che Satana continuava a mostrargli come sue conquiste, mentre gli diceva: «Come?!… Anche questo vuoi prendere sopra di te e sopportarne la pena?». La sua umanità stava già per soccombere sotto l’enorme peso dei nostri peccati, quando un solco di luce chiarissima scese dal cielo, da oriente. Erano le schiere angeliche del paradiso inviate dal Padre celeste per infondere rinnovato vigore al suo Figlio divino. Gesù era al limite del le sofferenze spirituali, il peso delle colpe umane continuava a gravare immensamente su di lui e a causargli dolori atroci, mentre gli spiriti malvagi lo deridevano e i demoni gli facevano sentire la loro orribile voce. Infine, nonostante le spaventose visioni, rincuorato dagli angeli, Gesù misericordioso seppe accogliere tutto su di sé. Egli amò immensamente Dio e anche gli uomini, vittime delle loro stesse passioni. Il demonio ignorava che Gesù fosse il Figlio di Dio; credendolo soltanto un uomo giusto, lo tentò in tutti i modi come già aveva fatto nel deserto. Satana lasciò scorrere’dinanzi alla santa anima del Signore le sue opere di carità facendole apparire come colpe contro il mondo e contro Dio. Tentò di dimostrargli che esse non sarebbero valse a nulla e non erano state adatte a soddisfare la giustizia divina, anzi erano state causa di scandalo e di rovina per molti. Come un arguto fariseo, Satana gli rimproverò le mancanze e gli scandali che avevano suscitato i suoi apostoli e i discepoli, i disordini che essi avevano provocato abolendo le antiche usanze e, tra l’altro, incolpò Gesù di aver causato la strage degli innocenti e una vita di tribolazioni ai suoi genitori. Inoltre l’accusò di essersi rifiutato di operare diverse guarigioni e di non aver salvato Giovanni Battista, e così continuò a lungo. Gesù era rimasto perseverante nell’orazione, pur continuando a sudare con tremiti convulsi. Egli aveva lasciato prevalere la sua infinita misericordia permettendo al demonio di fargli soffrire le pene dei comuni mortali, in particolare dei giusti, i quali in punto di morte dubitano per fino delle loro sante opere. Atterrito dall’immensa ingratitudine degli uomini verso Dio, il Signore sentì piagare la sua anima e cadde in un violento dolore; allora si alzò e rivolse la sua pena al Padre: «Abbà, Padre mio, se puoi, allontana da me quest’amaro calice!». Ma subito soggiunse: «Sia fatta, però, non la mia, ma la tua volontà!». Sebbene la sua volontà e quella del Padre fossero strettamente congiunte, la natura umana di Gesù tremava di fronte alla morte. Lo vidi sfigurato in volto e le sue labbra erano livide. Barcollando, uscì dalla grotta e si diresse verso i tre apostoli che aveva lasciato fuori. Vedendoli addormentati, il Signore, estenuato e sopraffatto dalla tristezza, incespicò e cadde vicino a loro. Ancora circondato dalle tremende visioni, rialzandosi lentamente, Gesù disse: «Perché dormite? Non potete vegliare nemmeno un’ora? ». I tre, che frattanto si erano svegliati e si erano levati in fretta, vedendo il Signore trafelato e madido di sudore, sta vano per chiamare gli altri apostoli, ma Gesù fermò Pietro dicendo: «Non chiamare gli altri, non voglio che mi vedano in queste condizioni, dubiterebbero di me e cadrebbero in tentazione. Ma voi che avete veduto il Figlio dell’uomo nello splendore, potete pure vederlo nell’oscurità e nell’abbandono. Vegliate e pregate per non entrare in tentazione; lo spirito è sveglio, ma la carne è debole e inferma». Gesù non ignorava che anche i suoi amati apostoli erano caduti in preda all’angoscia e alla paura. Allora parlò loro con amorevole tristezza, mettendoli al corrente circa la dura lotta della natura umana contro la morte. Dopo un quarto d’ora fece di nuovo ritorno alla grotta. Erano quasi le undici di notte. I tre apostoli, afflitti, si chiedevano: «Cosa gli accade per essere così smarrito?». Si coprirono la testa e si misero a pregare. Frattanto, nella notte silenziosa di Gerusalemme, Ma ria santissima, Maria Maddalena, Maria figlia di Cleofa, Maria Salomè e Salomè avevano lasciato il cenacolo e si erano recate a casa di Maria, la madre di Marco. Tutte erano molto preoccupate per la sorte di Gesù, in modo particolare Maria santissima, la quale non dubitava più sul tradimento di Giuda. Con il cuore colmo d’amara tristezza, Gesù dunque era ritornato nella grotta. Si gettò col viso al suolo e, con le braccia distese, pregò il Padre in cielo. Allora gli angeli consolatori gli mostrarono l’immagine beata dei nostri progenitori nello stato di santa innocenza, ossia quando Dio dimorava ancora nel loro cuore, facendogli vedere come la loro caduta l’avesse deturpata. In tale contesto il Salvatore vide le indicibili sofferenze che la sua anima avrebbe dovuto superare per redimere l’uomo dal peccato d’origine, causa di tutti i patimenti. Gli angeli gli fecero notare che l’unica natura umana esente dal peccato era quella del Figlio di Dio, il quale per prendere sopra di sé il debito dell’intera umanità doveva superare la ripugnanza umana per la sofferenza e la morte. La sua santa anima vide le pene future che sarebbero gravate sugli apostoli, sui discepoli e sui santi martiri. La crescita della Chiesa tra ombre e luci, le eresie, gli scismi e tutte le forme di vanità e le colpe scandalose del clero. La tiepidezza e la malvagità di numerosi sedicenti cristiani. E ancora: la desolazione del regno di Dio sulla terra e le or rende raffigurazioni dell’ingratitudine e degli abusi degli uomini. Con il suo martirio egli avrebbe instaurato nel mondo il precetto salvifico dell’amore e sarebbe stato il Salvatore divino per quanti, nei secoli, avrebbero voluto sfuggire alle fiamme dell’inferno e avvicinarsi alla luce beatifica di Dio. L’umanità, corrotta dal peccato, che lui si preparava a riscattare col proprio tributo di sofferenze indicibili, si sarebbe potuta salvare solo alla sequela della sua imitazione. Era quindi necessario che egli bevesse quest’amaro calice per trasfigurarsi nella “verità”, nella “porta” e nella “via” al Padre. Vidi Gesù versare lacrime di sangue di fronte all’immane ingratitudine degli uomini; per quelle moltitudini che l’avrebbero odiato e si sarebbero rifiutate di portare la croce con lui. Egli pativa affinché la sua Chiesa fosse fondata sulla roccia, contro la quale le porte dell’inferno non avrebbero prevalso. Ecco perché il demonio per provocano gli aveva detto: «Vuoi davvero soffrire per questa massa d’ingrati?». Con forte dolore, vidi una fitta schiera di nemici del mio Sposo divino mossi dal fanatismo, dall’idolatria e dall’o dio contro la Chiesa: ciechi, paralitici, sordi, muti e persino fanciulli. Ciechi che non volevano vedere la verità, paralitici che con la verità non volevano camminare, muti per ché si rifiutavano di trasmetterla agli altri e sordi perché rifiutavano di ascoltare le ammonizioni di Dio. I fanciulli crescevano insensibili alle cose divine, istruiti dai genitori e dai maestri alla vana sapienza del mondo. Questi mi fecero maggior compassione perché erano stati oggetto del massimo amore di Gesù. Non potrei mai finire se volessi raccontare tutti gli oltraggi fatti a Gesù, dai sacerdoti indegni, nel santissimo Sacramento… Vidi gli angeli che seguivano con il dito le diverse immagini che essi stessi producevano, ma non udivo quel che dicevano; compresi solo che avevano molta compassione per le sofferenze del Signore. Le sofferenze interiori di Gesù, per tali orribili peccati e concupiscenze, furono così intense che il suo corpo versò fiotti di sangue. Nello stesso tempo vidi la Vergine Maria patire a sua volta l’agonia spirituale del Figlio. La Madre di Gesù si trovava ancora nel giardino di Maria di Marco e veniva con solata dalle pie donne, particolarmente dalla padrona di casa e dalla fedele Maria Maddalena. Perse più volte i sensi mentre sollevava le mani imploranti verso il Getsemani. Anche Gesù, con molto trasporto, contemplava nello spirito le pene della sua santa Madre. Fu una visione intensa e molto commovente. Gli Otto apostoli, sbigottiti e afflitti dal dubbio, teme vano per la sorte di Gesù e per la loro. Essi si chiedevano: «Che faremo, se il Maestro verrà arrestato e morirà? Abbiamo rinunciato a tutto per seguirlo e adesso siamo poveri ed esposti al ridicolo. Forse abbiamo sbagliato affidandoci completamente a lui». Fu così che gli apostoli entrarono in tentazione e si misero a cercare un nascondiglio. Anche i discepoli furono assaliti da un grande sconforto e andavano in giro per Gerusalemme con l’intento di apprendere qualche notizia in torno alla sorte del Redentore. Mancava poco alla mezzanotte. Gesù continuava l’intimo colloquio con il Padre celeste, allorché si aprì la terra sotto di lui e si trovò all’improvviso su un sentiero luminoso che scendeva nel limbo. Il Maestro divino scorse Adamo ed Eva, gli antichi patriarchi, i profeti e i giusti, i genitori di sua Madre, Giovanni Battista e una moltitudine di sacerdoti, di martiri, di beati e di santi della futura Chiesa. Tutti avevano il capo cinto dalle corone del santo trionfo, conseguite grazie alle sofferenze patite e alla perseverante lotta contro il male. Lo splendore ditale trionfo era legato unicamente ai meriti della sua prossima passione. Essi lo circondarono, esortandolo a compiere il sacrificio del suo sangue, sorgente di redenzione e di vita spirituale per tutti gli uomini di buona volontà. Questa visione rinvigorì Gesù che stava soggiacendo all’abbattimento umano. Dopo quelle confortanti scene, gli angeli gli mostrarono in tutti i particolari la passione che avrebbe subito tra poco. Quando il divino sofferente si vide inchiodato sulla croce completamente nudo per espiare l’impudicizia degli uomini, pregò fervorosamente il Padre di risparmiargli quell’immane umiliazione. Questa preghiera sarebbe stata esaudita per l’intervento di un uomo pietoso che l’avrebbe coperto. Dopo la visione del suo martirio sulla croce anche gli angeli lo abbandonarono. Egli cadde a terra sfinito come se fosse moribondo: il suo corpo era agonizzante e in preda a un tremito convulso. Vidi la grotta illuminata da tenui raggi lunari. All’improvviso un’altra luce illuminò la grotta: era un angelo inviato da Dio, indossava abiti sacerdotali e aveva nelle mani un piccolo calice. Senza discendere al suolo, la creatura celeste accostò il calice alle labbra di Gesù e, ciò fatto, disparve. Così il Signore aveva accettato il calice delle sue pene, dal quale ne trasse straordinarie energie. Restò ancora per alcuni minuti in atto di gratitudine verso il Padre celeste, poi si rialzò, si asciugò il volto con un sudario e fece ritorno dagli apostoli. Quando Gesù uscì dal la grotta, vidi la sua faccia pallidissima e spettrale: destava profonda compassione; notai però che il suo passo era diritto. La luce lunare e lo splendore delle stelle mi apparvero molto più naturali. Pietro, Giacomo e Giovanni, spossati dall’angoscia, era no caduti di nuovo nel torpore e si erano assopiti con la te sta coperta. Gesù, pieno di amarezza, li chiamò ancora una volta e disse loro che non era il momento di dormire ma di pregare, perché l’ora della verità era venuta. Li avvertì che egli si sarebbe consegnato ai suoi nemici senza opporre resistenza; chiese che assistessero sua Madre ed ebbe parole di compassione per il traditore. Ma Pietro gridò: «Noi ti difenderemo, vado a chiamare gli altri!». Gesù lo fermò e gli fece segno di guardare nella valle,dall’altra parte del torrente Cedron, dove una masnada di armati si avvicinava alla luce di una lanterna.

«Mentre parlava ancora, giunse una turba, e colui che era chiamato Giuda, uno dei Dodici, li precedeva e si avvicinò a Gesù per baciarlo» (Luca 22,47).

QUARTO BRANO SCELTO
Dagli scritti della Beata Maria Alessandrina Maria da Costa

La mia anima vide Gesù scendere la scala e incamminarsi verso l’Orto.
Sul pianerottolo stava la mamma, avvolta in un manto, con gli occhi lacrimosi. Fissava Gesù che stava allontanandosi. Triste separazione!
Gesù ben sapeva che poche ore più tardi lei avrebbe voluto prenderlo tra le braccia, curargli le ferite. Ma non avrebbe potuto dargli neppure un lieve conforto con le sue dolci parole di madre.
Già un poco distanziato, Gesù si voltò a fissarla nuovamente, come per darle un altro addio. Ella fissava il suo Gesù dalla cima della scala. Gesù scomparve, ma rimasero sempre uniti. Vidi gli sguardi addolorati della mamma, quando ormai non scorgeva più il suo Gesù e vidi quanto il suo cuore santissimo lo seguiva, intuendo le sofferenze cui andava incontro.
Che unione di dolore e di amore!
Sento che tutto fugge lontano da me. E resterò completamente sola nell’Orto, nella più grande agonia! Fuggo verso la solitudine, per poter piangere in silenzio. Quante lacrime di sconfitta! Ad ogni passo che faccio, sono montagne che cadono su di me. Ad ogni passo, sento come se mi fermassi per riposare: l’anima è affaticata.
Tutto il cammino è spinoso (spiritualmente): grossi rami intrecciati di spine mi feriscono. Ansie e sete di amore si estendono a tutto il mondo. E la ricompensa per questo amore è fatta di spine tanto vive e penetranti, che mi avvolgono il cuore in un groviglio enorme.
Ma le fiamme d’amore che escono dal cuore superano le spine e si levano in alto. Fortificata da sforzi interiori, dagli sforzi dell’anima, cammino. La mia anima avanza verso l’Orto, trascinata dall’amore. Il cuore sta abbracciato strettamente a tutta la sofferenza.
Gesù, mansueto, con i suoi sguardi divini seguiva da lontano Giuda là in basso, di casa in casa, mentre concludeva la vendita. Al braccio portava la borsa con il denaro. Gesù tutto vedeva, ma nulla diceva ai suoi apostoli. Piangeva nascostamente. Li precedeva triste e silenzioso.
Io vidi che essi non si preoccupavano, né soffrivano per ciò che stava per accadere. Camminavano stanchi. Erano stanchi per le grandi meraviglie, per quanto avevano visto e udito da Gesù. Camminavano silenziosi, ma quanto diceva loro Gesù col suo silenzio! Come li amava, come parlava loro quel cuore divino, tanto oppresso dal dolore e dalla fatica! Appagati, seguivano il loro Maestro con tutta tranquillità.
Mentre Gesù camminava ansante, scorrevano gocce di sudore lungo tutto il suo corpo. Di tanto in tanto, si voltava a fissare la città, che restava là in fondo. I suoi sguardi divini scrutavano tutto, nonostante l’oscurità. E dal cuore gli usciva il dolce lamento: “Non bado alla tua ingratitudine: vado a morire per te”.
Gesù si inabissò nella sofferenza. Raccolse nel suo cuore tutta l’ingratitudine e la malvagità che vedeva. Quell’abisso di odio e di dolore accompagnò Gesù all’Orto. Gesù condusse me. Il cuore divino di Gesù si sentiva calpestato dall’umanità.
Vicino al suo, nella medesima sofferenza, vi era il cuore della mamma. Io sentivo come se il cuore di lei volasse verso Gesù, e la violenza del dolore trascinasse insieme al cuore tutte le vene del corpo.
Lungo il percorso mi attraversavano il cuore i sospiri e le lacrime della mamma. Non con gli occhi del corpo ma con quelli dell’anima la vedevo nell’atrio della sala della cena, con il santissimo volto tra le mani: la vedevo piangere di dolore. Sentivo come se io portassi la Madre addolorata dentro il mio cuore: come un tempo lei aveva portato Gesù nel suo grembo purissimo. Il mio cuore era il sacrario che la accolse con tutti i suoi dolori: così lei fu sacrario che accolse Gesù con tutta la sua vita, divina e umana. Con quale raccoglimento io la portavo!
Gesù stava per giungere all’Orto, e la mamma piangeva ancora. Gesù vedeva bene e sentiva le lacrime della sua mamma benedetta.
Trascinata da correnti d’amore, entrai nell’Orto. Vedevo i suoi ulivi. Vedevo il chiarore della luna, impallidito, e lo scintillio delle stelle, triste, come triste era il cuore divino di Gesù. Tutto appariva attraverso il fogliame, ma con mestizia tale che invitava solo al dolore, al silenzio, al raccoglimento.
Nell’oscurità degli ulivi, Gesù affrettò il passo: andò in un luogo appartato a pregare. Gli apostoli si addormentarono.
Vidi gli ulivi, quasi coprire Gesù con il loro fitto fogliame molto verde. Li vidi testimoni della sua sofferenza, come se di lui avessero compassione.
Nella solitudine, mi sentivo piegare le ginocchia per pregare. Orto di tristezza, Orto di agonia!
Un Orto mondiale, lastricato di dure pietre: una roccia irriducibile. Quante sofferenze vede la mia anima per sé e per il corpo! Nulla le resta occulto.
Già sento nell’anima il dolore del bacio ingrato che questo viso riceverà. Sento lo schiaffo, il viso sputacchiato, gli occhi bendati. Sento il rinnegamento di Pietro. Vedo il braciere e alcune persone attorno. Odo il gallo cantare. Dolore indicibile, paragonabile a quello del tremendo schiaffo.
Mi vedo schernita, di tribunale in tribunale, tra lo schiamazzo del popolo. Vedo l’anello di ferro che sta infisso nella colonna. Sento nel cuore i lacci che mi legheranno ad essa. Vedo i flagelli che mi colpiranno il corpo e che già mi colpiscono l’anima. Odo il sibilo delle corde e delle verghe. Vedo il rancore con cui sarò fustigata.
Già soffro come se fossi lacerata dai flagelli, coronata di spine e così condotta alla balconata di Pilato, con una canna in mano e una vecchia cappa sulle spalle. Io, nel massimo abbattimento, in mezzo a tanti aguzzini!
Vedo la folla, odo le sue esclamazioni: devo essere condannata a morte!
In direzione dell’Orto viene il Calvario. Vedo il percorso lungo il quale dovrò cadere per il peso della croce.
Mi sgomento per la visione della salita. Come dovrò affrontarla?
Oppressa dai maltrattamenti. Comincio a tremare, e tutto il suolo pare tremare con me.
Sento la crudeltà con la quale verrò spogliata: si staccano, con le vesti, brandelli di pelle e di carne! Sento come se spogliassero non solo il mio corpo, ma anche l’anima. Il dolore che la penetra è mortale.
Vedo i chiodi, il martello, la croce eretta!
Mi vedo crocifissa su di essa! Tutte le sofferenze mi sono anticipate. E non vado incontro a un Calvario di un solo giorno, ma di molti e molti secoli! Che cosa è mai il dolore! Cosa sono le sofferenze dell’Orto! Il mondo non le conosce.
Fu il cuore a ricevere tutti i maltrattamenti. Mi pareva che, disfatto in sangue, strisciasse sul suolo dell’Orto come se fosse un serpente velenoso, su cui tutti scaricavano le più grandi atrocità per togliergli la vita. Il cuore, però, amava più di quanto fosse ferito. Divenne come nube che, invece di assorbire acqua, assorbiva ogni dolore e martirio. Dolore e martirio che si trasformavano in sangue, sangue che avrebbe irrorato tutto il Calvario e, nel Calvario, l’umanità intera.
Ebbi la visione del sangue che stavo per versare e, allo stesso tempo, dei fiori che nascevano dal sangue.
Tra questi fiori si propagavano siepi di spine acutissime, per la maggior parte bagnate di sangue. Vedevo il frutto e vedevo l’ingratitudine, vedevo la gloria e vedevo l’iniquità. Il mio cuore era percosso dalla indifferenza generale per il mio soffrire.
Non vi sono parole capaci di descriverne l’agonia.
E la mamma, dov’era in quell’ora? La mia anima la vedeva e il cuore la sentiva tanto lontana, là nell’atrio, presso la scala. Fissava le strade che Gesù percorreva, i luoghi in cui si trovava. Il suo cuore, legato a quello di Gesù, presentiva quanto egli andava a soffrire, e con lui provava lo stesso dolore.
Con profondi sospiri mormorava: «Figlio mio, mio caro figlio, quanto tu soffri!». Copiose lacrime scorrevano sul suo volto. Passavano attraverso il mio cuore le lacrime innumerevoli da lei versate. Quanto soffriva per la separazione e la dipartita di Gesù
Gesù soffriva in grande agonia: soffriva per i patimenti che lo aspettavano e per le sofferenze della mamma. Egli vedeva dove ella stava, vedeva la distanza che li separava. Dolore senza l’uguale!
Il dolore mi lacerava il cuore e l’anima.
Vidi la grande sala in cui fu trattata la vendita di Gesù e dove Giuda, disperato, andò poi a scagliare la borsa con il prezzo del sangue innocente. Vidi lontano un albero al quale stava appeso Giuda. Da esso lo vidi cadere al suolo e scoppiare. Vidi spandersi sul terreno ciò che il corpo conteneva. La vendita di Gesù, la consegna, il bacio traditore lo portarono a quell’atto di disperazione. Tutto sentii nella mia anima.
Io mi sentivo l’unico albero del mondo che si trasformava in virgulti floridi, cui dava nuova vita: la Vita del Cielo.
Ma per questo dovevo affrontare tutto l’Orto, tutto il Calvario e, alla fine, morire sulla croce!
Non importava la morte. Ciò che importava era dare nuove vite. L’amore mi obbligava al dolore.
Ad occhi chiusi, labbra mute, mi consegnai a tutto. Andai verso la morte. In me sentivo che dovevo morire. E volevo morire. Senza la morte, non avrei portato a termine la missione che dovevo compiere sulla Terra.
Si lanciò su di me, con il suo peso, tutto quanto di brutale è nell’umanità. Mi schiacciò, mi tolse la vita.
Ma un’altra Vita, superiore, sublime, molto sublime, diede accesso nel cuore a tutta l’umanità e la avvolse in un incendio d’amore.
Fu tale l’irradiazione, tale la follia d’amore, che fece dimenticare la crudeltà umana.
Trionfò sulla morte e abbracciò tutta l’ingratitudine. Questo abbraccio fu eterno.
Gesù, con la sua luce, mi fece vedere e comprendere che questo era il suo abbraccio eterno alle anime: era per loro la sua vita eterna d’amore.
In questo momento culminante, sentii Gesù che fissava il mondo. Con profonda tristezza nel suo cuore, diceva: «Tanta ingratitudine verso tanto amore!».
Non erano bene accetti i suoi patimenti, il suo divin sangue, la sua morte!
« É nell’Orto che chiamai a me il mondo.»
Sopra il suolo dell’Orto si innalzò un mare immenso, le cui onde si scagliavano contro di me. Tutto attorno a me era mare: battevano contro di me le onde furiose, come se io fossi la banchina. Travolta da queste, caddi nella terra immonda e macchiata. Tutte le macchie erano mie. Tremavo di paura e mi pareva che la terra tremasse.
Ero coperta dalle iniquità che attiravano su di me la giustizia dell’Eterno Padre.
Quante lacrime di vergogna, nel vedermi rivestita di tutte le malvagità e nel trovarmi in tale stato alla presenza del Padre!
La vergogna di me stessa e il peso della giustizia divina obbligarono la terra ad aprirsi ed obbligarono me a nascondermi in essa. Mi inabissai in quel suolo duro. Ne rimasi avvolta come in un manto.
Io, tutta mondo, tutta corruzione e peccato, divenni responsabile davanti all’Eterno Padre. Ero solo io a pagargli questo ineguagliabile debito!
Per un mare di peccato e di corruzione, un mare di sangue e di purificazione.
Tutto il mio essere divenne Orto. Tutto il mio essere divenne sangue.
Fui posta su quel suolo duro per essere responsabile di tutti e scandalo per una gran parte: questi erano ribelli, martirizzatori, assassini.
Il mio grido al Cielo irruppe nella solitudine attraverso le tenebre della notte, tra il fogliame verdeggiante degli ulivi. Gridavo tanto, ma quel grido rimaneva come perduto in un bosco: neppure il Cielo mi dava ascolto.
Tanto si era allontanato da me il Cielo, che rimasi come se dalla terra non potessi fissare il firmamento.
Tutto era sparito. Soltanto l’Orto restò.
L’Eterno Padre si era occultato: pareva non esistere. Ma la sua giustizia divina scendeva come nere nubi a schiacciarmi.
Il suolo dell’Orto e la giustizia divina erano per me come pietre da mulino, che mi frantumavano in dolore e polvere. Io ero il chicco di grano macinato, trasformato in farina. E questa continuava ad essere macinata e rimacinata, fino a scomparire. Io ero il piccolo grappolo d’uva, premuto dal torchio. E, dopo aver dato tutto il succo, quel grappolo doveva sottostare ancora a nuovi torchi, i quali lo spremevano sempre, fino all’esaurimento.
La giustizia divina gravava su di me, ma si mitigava nei riguardi della Terra colpevole.
La notte oscura e serena, in cui non si muoveva una sola foglia, se non quando il dolore faceva tremare tutto, invitava alla solitudine e faceva sentire di più l’abbandono, persino quello dell’Eterno Padre.
Mentre gli apostoli dormivano, Gesù rimase per un po’ vicino a loro.
Nel momento in cui aveva più bisogno degli apostoli amici e compagni suoi per tanto tempo meno li aveva, minore era la loro preoccupazione: essi dormivano tranquilli, di buon sonno. E Gesù soffriva per questa loro assenza.
Con gli occhi fissi al Cielo, parlava rivolto al suo Eterno Padre. Il dolore giungeva fino a Dio. E il Suo abbandono si univa a quello dell’umanità.
Le stelle brillanti erano come lumi che, attraverso le fronde degli ulivi, venivano ad illuminare l’Orto oscurato. Ma per Gesù non brillavano, non davano luce: a lui non rispondeva l’Eterno Padre.
Però la sua anima parlava infinitamente, e il suo cuore infinitamente amava.
Mi sentii in piedi. Tenevo nelle mani tremule il calice, che non cessava mai di traboccare: vi cadeva dentro una sofferenza senza fine. Quel calice era come una coppa che riceve acqua da una fonte che non si secca mai.
Gesù, in me, prendeva il calice dell’amarezza e più volte lo offriva all’Eterno Padre.
Io ero Gesù, e Gesù era me: eravamo la medesima offerta al Cielo.
Nel mio cuore sentivo Gesù ripetere: «Padre, Padre, Padre! Allontana da me questo calice, se è possibile. Ma sia fatta la Tua volontà: voglio morire per dare la Vita».
In questo momento di accettazione, mentre chiedeva al Padre di allontanargli la sofferenza, ma allo stesso tempo voleva solo la Sua volontà, il volto di Gesù era bello, molto sereno, con gli occhi fissi al Cielo: li sentivo nella mia anima splendere come due soli.
In quella dolorosa agonia, con il cuore dicevo: «Gesù, se è possibile, allontana da me questa sofferenza!».
Ma subito mi gettavo verso di lui a braccia aperte, come fossi bruciata dalle fiamme, per tuffarmi in un mare di frescura e di soavità: «Non sia fatta la mia, ma la tua volontà. O mio Dio e mio Signore! Voglio consolarti e darti anime».
Vidi una strada interminabile, coperta di robusti grovigli di spine: tutte quelle spine dovevano ferirmi!Il mio buon Gesù mi fece comprendere e vedere nell’anima, con una luce molto chiara, che quelle spine avrebbero ferito attraverso i tempi fino a quando sarebbe esistito il mondo non il mio ma il suo divin cuore. Vorrei saper esprimere l’immensità di quella strada spinosa e il modo in cui Gesù veniva ferito. Ma non so. Seppi appena vedere e comprendere. E rimasi in quel dolore, in quell’angoscia spaventosa.
Vidi la cara mamma preoccupata, in amarezza, in angoscia. Dove si trovava il suo Gesù? Che cosa soffriva in quelle ore?
Egli pregava con il petto appoggiato ad un duro masso ed era circondato da inestricabili grovigli di spine, che si intrecciavano gli uni negli altri.
Tanto dolore causava meraviglia e ammirazione agli angeli che dal firmamento, come stelle, lo contemplavano.
Soltanto il Cielo comprendeva il dolore di Gesù.
Dopo il Cielo, era la mamma a comprenderlo e a viverlo.
Quanto si amavano Gesù e la mamma e come si vedevano l’uno attraverso l’altra! Tutta la Terra persino i discepoli ignorava il dolore di cuori tanto amanti!
Poiché l’agonia aumentava, mi buttai con il volto a terra. Sul suolo duro, in una oscurità spaventosa, forti tremori mi pervasero il corpo. Mi prostrai a terra in più luoghi. In uno più solitario andai di nuovo a pregare da sola.
Dopo, tornai a cercare la compagnia di quelli che amavo.
Che mancanza di preoccupazione, la loro!
Nella notte silenziosa, il calice della mia amarezza era offerto all’Eterno Padre.
E, incuranti, gli amati del mio cuore dormivano!
Su quel suolo nudo e duro tremai di spavento. Pareva che le mie sofferenze diventassero fuoco, formassero fiamme che mettevano in ebollizione il mio sangue. Il cuore dava scossoni tali da obbligare il corpo a rotolarsi al suolo e a sudare sangue.
Sentii che le mie vene si accavallavano come fili di un gomitolo. Con grande dolore si aprirono e versarono sangue che inzuppò la terra. Sentii come se avessi la mia veste, bagnata di sangue, incollata al corpo. Il sangue gocciolava mentre, stritolata, stendevo le braccia in atto di offerta.
Con Gesù pregai e sudai sangue. Con lui in me, sentivo il suo cuore aperto come se fosse il mio.
Aprivo il cuore a tutta l’umanità e con Gesù dicevo a tutti:«Io sono la Via, la Verità, la Vita».
Vedevo che dal suo divin cuore aperto, con sofferenza anticipata, Gesù dava da bere alle anime. Alcune si allontanavano da lui, con rifiuto e disprezzo: non volevano neppure toccare il sangue di Gesù. Altre ne bevevano con freddezza e indifferenza, come fosse cosa da poco. Altre ancora venivano a berlo con più amore. Ne venivano certe che bevevano con un amore folle e non volevano cessare di bere. Ne venne poi una che oltrepassò tutte e, con una sete insaziabile, bevve, bevve. Entrò in lui attraverso la piaga del cuore divino, si perdette in lui: non ricomparve più.
Il sangue irrigò la Terra… rugiada feconda, rugiada d’amore. Doveva essere, nel corso dei tempi, rugiada di vita e di salvezza per le anime.
Sentivo che il sangue versato cancellava tutte le macchie del peccato.
Ma, nello stesso tempo, sentivo e intravedevo da lontano, molto lontano, nuove macchie, nuovi vizi: non si voleva approfittare di quel mare di sangue, di quel mare di purificazione.
O Passione di dolore e di amore di Gesù, che non sei conosciuta!
Mi vedevo lavare il mondo con il sangue. E l’albero della croce fioriva dalla mia parte.
Ma subito una sconfitta, la sconfitta causata dal male, rovinava tutto, fino al tronco. Le mie vene erano le radici di questo tronco e, perché non morisse e continuasse a dare la vita, io dovevo seguitare a soffrire e a dare il mio sangue.
La sconfitta, la distruzione che la mia anima vide, mi portò all’agonia. Istintivamente in me ripetevo: «L’anima mia è triste fino a morirne».
Alcuni momenti dopo, mi sentii uscita dal sepolcro: la pietra che lo copriva era rimasta da un lato. Ero uscita gloriosa a trionfare su tutte le sofferenze. Questa visione di gloria, avuta anticipatamente, non mi diede alcun sollievo.
Nelle mie mani tenevo il calice, che offrivo all’Eterno Padre. E nuovi grovigli di spine vennero ad avvolgere il calice. Queste spine emettevano una luce che lo illuminava e lo rendeva splendente. Ma tutta la luce e lo splendore salivano al Cielo. All’anima restava soltanto la notte oscura, silenziosa, triste. Prostrata a terra, in un angolo isolato…
Venne un conforto dal Cielo. Non vidi nessuno, ma sentii che dal Cielo discendeva qualcuno venuto a fortificare la mia anima, a sollevarmi dalla nuda terra, a lenire la mia agonia. Ma questa doveva riprendere subito. Sentii che a portare sollievo alla mia anima era stato un inviato dall’Eterno Padre. Ma il Suo abbandono continuò. Il Calvario con la croce non scomparve. Il mondo, con la sua malvagità, continuò ad aggravare le sofferenze. Mi sentii però più forte per affrontare ciò che mi aspettava.
Mentre la mia anima sgomenta lottava in quel martirio, sentii come se un canale discendesse dal Cielo e mi attirasse dentro di sé. Quel canale aveva la Vita divina. E tutta la mia vita terrena, tutto il mio essere di miserie fu trapassato da essa, come da raggi di sole splendenti e penetranti. Che impasto! La Terra con il Cielo!
Là nell’Orto, con Gesù agonizzante, vidi gli apostoli riuniti a dormire senza preoccupazione alcuna.
Gli apostoli dormivano. Giuda si avvicinava.
Gesù, con dolcezza e mansuetudine, chiamò gli apostoli per il grande avvenimento: la cattura.
Lo udii esclamare: «Alzatevi, venite! è giunta l’ora». Sorpresi dalla voce di Gesù, essi trasalirono.
Era necessario che venissero a vedere tanto grande amore e tanto grande ingratitudine, l’uno di fronte all’altra.
Odo il trambusto della gente, il tintinnio delle armi. Vedo il folto gruppo dei soldati e, con loro, un maggior numero di uomini che si avvicinano a Gesù: portano bastoni nelle mani alzate, portano il furore dell’inferno.
Sfinito, con le vesti intrise di sangue, in una tristezza profonda e quasi senza vita, Gesù attende.
Vede avvicinarsi la soldataglia e il traditore. Sento che attende il bacio di Giuda con la più grande ripugnanza.
Odo una voce che, con tutta dolcezza, dice a colui che si avvicina: «Amico mio, per che cosa vieni? È con un bacio che consegni il tuo Signore? Che male ti ho fatto io, se non amarti? È così che corrispondi?».
E subito Giuda si fa avanti e bacia Gesù.
Ricevo sul mio viso quel bacio. Bacio tanto crudele! Eppure ottenne ancora dalle labbra di Gesù, traboccante di bontà, la dolce parola di “amico”. O dolcezza, o amore del cuore divino!
Nello stesso momento, vedo come un pugnale molto aguzzo che si configge nel cuore divino di Gesù. Con questo pugnale conficcato, Egli va verso la cattura, in mezzo ai maltrattamenti. Non gli sarà più tolto.
Da quella grande ferita escono raggi luminosi che diffondono amore.
Sentii per molto tempo che quel bacio, quella ingratitudine, quel tradimento, si sarebbero ripetuti lungo tutti i tempi.
Odo la voce di Gesù: «Chi cercate? Sono io, eccomi».
Vedo i soldati cadere a terra. Odo di nuovo la sua voce: «Vi ho già detto che sono io. Se cercate me, qui mi avete». I soldati avanzano per catturarlo.
Pietro sguaina la spada e taglia un orecchio ad uno di loro. Vedo l’incrociarsi delle spade, vedo le armi dei soldati. Che grande combattimento se Gesù, con i suoi sguardi divini e con la mano alzata, non sedasse e calmasse tutto!
Gesù riattacca l’orecchio, che ha preso nelle sue santissime mani. Al vedere questo, Pietro fugge a confondersi tra la folla.
Gesù opera il miracolo e non rimane traccia di ferita!Con quale delicata bontà agisce il Signore!
Ha rimediato con tanta dolcezza al male fatto da Pietro e con la stessa dolcezza si consegna ai malfattori, si lascia legare. Potessi mostrare la tenerezza, la mansuetudine e l’amore di Gesù verso tutti coloro che lo offendono!Non vi è nulla sulla Terra che si possa paragonare a lui.

 

Tratto dal libro: “Sofferenza amata” La Passione di Gesù in Alexandrina MimepDocete 1999

QUINTO BRANO SCELTO
(dal libro: Anonimo del XX secolo Parole di cielo in 3 volumi 7 ediz.)

Nel Gethsemani conobbi i peccati di tutti gli uomini. Fui fatto quindi: ladro, assassino, adultero, bugiardo, sacrilego, bestemmiatore, calunniatore e ribelle al Padre che invece ho sempre amato. Io, puro, ho risposto al Padre come se fossi macchiato di tutte le impurità. Ed in questo, appunto è consistito il Mio sudare sangue: nel contrasto del Mio amore per il Padre e la Sua volontà che voleva addossarmi tutto il marciume dei Miei fratelli. Ma ho obbedito, sino alla fine ho obbedito e per amore di tutti mi sono ricoperto di ogni macchia, pur di fare il volere di Mio Padre e salvarvi dalla perdizione eterna. Nessuno crederà che molto più soffrii allora anziché sulla Croce, pur tanto e tanto dolorosa, perché chiaramente ed insistentemente Mi fu mostrato che i peccati di tutti erano fatti Miei ed Io dovevo risponderne per ciascuno. Sicché Io, innocente, ho risposto al Padre come se fossi veramente colpevole di disonestà. Considera, perciò, quante agonie più che mortali ho avuto in quella notte e, credimi, nessuno poteva alleggerirmi di tali spasimi, perché, anzi, vedevo che ognuno di voi si è adoperato per rendermi crudelissima la morte che ad ogni attimo Mi veniva data per le offese di cui ho pagato interamente il riscatto. Più di quanto l’uomo può capire ed oltre ogni immaginazione, provai in Me stesso abbandono, dolore e morte. Nessuna grandezza maggiore potete attribuirmi che questa: essere divenuto centro, bersaglio di tutte le colpe vostre. Immensamente conobbi il peso delle offese che al Padre Mio furono e sarebbero state fatte. La Mia Divinità, avendo preso per suo proprio strumento la Mia Umanità, Mi partecipava la bruttezza che nasconde la ribellione e la conseguente disubbidienza, trasformando il tutto in gemiti e martirii nell’Anima e nel Corpo. Ma un solo istante sarebbe bastato, un solo Mio sospiro avrebbe potuto operare la Redenzione per la quale ero stato inviato; eppure moltiplicai questi sospiri, prolungai il Mio vivere quaggiù, perché Sapienza e Amore così volevano. Giunto, però, alla fine volli come intensificare in Me stesso ogni genere di patimenti: vidi tutto ciò che dovevo redimere e che tutto Mi era addossato come cose Mie. Fù lì, nell’Orto, il culmine del dolore e Uomo quale Io volli essere, fui atterrato, sopraffatto, fisicamente distrutto. Venne l’Angelo Mio e mi ristorò mostrandomi le pene che altre Mie creature fedeli avrebbero sofferto per questo Mio soffrire; non gloria Mi fu mostrata ma amore, compassione, unione. Ecco come ripresi animo, ecco come diedi a Me stesso sollievo e forza. Pianto e lotta, sangue e vittoria, ho portato agli uomini, ingrati ed immemori, per quella notte di grande sconforto. Fu notte di redenzione, in cui Mi sostituii ad ogni peccatore e ne presi ogni colpa, ma, oltre a ciò volli racchiudere anche le pene tutte degli uomini e soffrirne intensamente. Miei cari, il Gethsemani è un mare senza confini, un oceano in carità nel quale ogni persona, ogni colpa, ogni dolore venne sommerso ed Io sentii realmente: non in via immaginaria, tutta la gravezza che nel mondo sarebbe discesa. Amore per il Padre, amore per gli uomini, Mi fecero vittima volontaria. Se uno di voi avesse potuto vederMi, sarebbe morto di spavento per il solo aspetto fisico che avevo preso. Poiché non trattavasi di un solo tipo di pena, non si trattava di un solo anelito, ma di mille, milioni di aneliti tutti compressi in Me. Io fui capace di abbracciare ogni vostra colpa e tutte le vostre sofferenze. Io solo sono stato capace di sentire, dico sentire, tutte le vostre pene, perché Io ero voi e voi eravate Me. Notte di tragedia, notte oscura per la Mia Anima che inoltravasi titubante fra gli ulivi del Gethsemani. Il Padre Mi preparava l’Altare sul quale Io, Sua Vittima, dovevo essere Immolato. Io dovevo prendere le colpe degli altri e Colui che Mi aveva mandato, attendeva quella notte per dare agli uomini la misura del Suo Amore, col sacrificio totale di Me, Suo Figlio e Sua Prima Creatura. Laggiù fra gli ulivi del Gethsemani, il peccato degli uomini ebbe sconfitta definitiva perché fu in quel luogo che Io Mi Immolai e vinsi. E’ vero che sarebbe bastato un solo sospiro nel mondo per dar redenzione a tutti, ma è anche vero che un’opera è completa quando raggiunge il culmine voluto, come dire che, essendo stabilito che Io pagassi per tutti sottoponendomi alle umiliazioni della Passione, soltanto con la Immolazione potevasi raggiungere lo scopo voluto dal Padre. Difatti, il merito fu infinito in Me, qualsiasi cosa Io facessi, tuttavia la volontà Divina voleva la Mia umiliazione sotto la Sua potente mano, a titolo di completamento della Sua e Mia opera: perciò col Gethsemani si adempì la prima parte di tale volontà e la parte principalissima. Lentamente, quasi privo di forze, ero giunto ai piedi di quell’altare sul quale il Mio Sacrificio stava per iniziarsi e consumarsi. Che notte fu quella! Quale angoscia, nel Mio cuore, al pensiero, alla visione terrificante dei peccati degli uomini! Ero la Luce e non vedevo che tenebre; ero il Fuoco e non sentivo che gelo; ero l’Amore e non sentivo che il disamore; ero il Bene e non sentivo che il male; ero la Gioia e non avevo che tristezza, ero Dio e Mi vedevo un verme, ero il Cristo, l’Unto del Padre e Mi vedevo lordo e ributtante, ero la Dolcezza e non sentivo che amarezza; ero il Giudice e subivo la condanna, la vostra condanna; ero il Santo, ma venivo trattato come il massimo peccatore; ero Gesù, ma sentivo chiamarMi soltanto con nomi di vitupero da satana; ero la vittima volontaria, però la Mia stessa natura umana Mi faceva sentire tremore e debolezza e chiedeva l’allontanamento di tutta la sofferenza in cui trovavasi; si, ero l’Uomo di tutti i dolori cui era sfuggita la gioia della donazione di Me stesso che avevo fatto con trasporto tutto Divino. E tutte queste cose, perché? Ve l’ho già detto: Io ero voi, perché voi dovete divenire Me. La Mia Passione…  Oh! che abisso di amarezze ha racchiuso! E come è lontano chi crede di conoscerla soltanto perché pensa alle sofferenze del Mio Corpo! Guardate al Gethsemani, guardatemi disfatto nell’Orto e unitevi a Me! Torno oggi a voi per ricordarvi di guardare bene il Mio viso triste, di considerare meglio il Mio sudore di Sangue. Non vi interessa molto questa Passione sconosciuta? Non vi pare che merito più considerazione, migliore attenzione? Anime Mie care! Tornate al Gethsemani, tornate con Me nel buio, nel dolore, nella compassione, nell’amore doloroso! E tu, come ti trovi ora? Intendi, dunque, che ti faccio simile a Me? Posa anche tu le tue ginocchia sulla terra del tuo sacrificio e dì con Me: Padre, se è possibile, allontana da me questo calice: però non si faccia la mia, ma la Tua volontà. E quando avrai detto con intima convinzione “fiat”, allora cesserà tutto e sarai rinnovato nel Mio Amore. Guardate al  Gethsemani,  guardatemi disfatto, nell’Orto e unitevi a Me! Quanto a Me il soffrire che fu, ora Mi sarà dolcissimo se vi metterete nella considerazione delle Mie pene. Non temete di entrare con Me nel Gethsemani: Entrate e vedete. Se, poi, vi parteciperò sensibili angosce e solitudini, ritenetele Miei veri doni e non vi smarrite, ma con Me dite: Padre, non la mia volontà, ma la Tua si faccia! Pregatemi, perché voglio sia conosciuto come ho amato tutti voi in quell’ora di abbandono e di tristezza senza nome.

 

DEVOZIONE ALLA PASSIONE SPIRITUALE DI GESÙ
NELL’ORTO DEGLI ULIVI 

 LE PROMESSE DI GESU’ 

Dal mio Cuore sempre partono voci di amore che invadono le anime, le scaldano e, a volte, le bruciano. E’ la voce del Cuore mio che si propaga e raggiunge anche quelli che non vogliono sentirmi e che, perciò, non si accorgono di me. Ma a tutti parlo interiormente, a tutti mando la mia voce, perché tutti amo. Chi conosce la legge dell’amore non si meraviglia se Io insisto a dire che non posso non picchiare alle porte di quelli che mi resistono e che il rifiuto che spesso ne ottengo mi costringe per così dire a ripetere il richiamo, l’invito, l’offerta. Ora, queste mie voci tutte calde d’amore, che partono dal Cuore mio, che altro sono se non l’amorosa volontà di un Dio amante che vuole salvare? Ma so assai bene che i miei inviti disinteressati non giovano a tanti e che i pochi che li accettano devono anche essi fare notevoli sforzi per accogliermi. Ebbene voglio dimostrarmi generoso (quasi che finora non lo fossi stato) e lo fo dandovi una preziosa gemma dell’amore mio per testimonianza dell’affetto sincero che Io nutro per tutti. Così, ho deciso di aprire una diga per lasciar passare il fiume di grazia che il mio cuore non può contenere più. Ed ecco cosa offro a tutti in cambio di un pò d’amore:

     Remissione di tutte le colpe e certezza di salvezza in punto di morte a chi pensa, una volta al giorno, almeno, alle pene che provai nell’Orto del Gethsemani;

     Contrizione perfetta e duratura a chi faccia celebrare una Messa in onore di quelle stesse pene;

     Riuscita nelle faccende spirituali a coloro che inculcheranno agli altri l’amore alle pene dolorosissime del mio Gethsemani.

Infine, per dimostravi che voglio proprio rompere una diga del mio Cuore e darvi un fiume di grazia, Io prometto a chi si farà promotore della devozione al mio Gethsemani queste altre tre cose:

     1) Vittoria completa e definitiva nella maggiore tentazione cui è soggetto;

     2) Potere diretto di liberare anime dal Purgatorio;

     3) Grande luce per compiere la mia volontà.

Tutti questi doni miei Io farò con certezza a quelli che faranno le cose che ho dette, con amore e compassione per la mia spaventosa agonia del Gethsemani.

(agosto del 1963)

PREGHIERA A GESU’ AGONIZZANTE NEL GETHSEMANI

O Gesù, che nell’eccesso del tuo amore e per vincere la durezza dei nostri cuori, doni tante grazie a chi medita e propaga la devozione della tua SS. Passione del Gethsemani, ti prego di voler disporre il cuore e l’anima mia a pensare spesso alla tua amarissima Agonia nell’Orto, per compatirti e unirmi a te il più possibile. Gesù benedetto, che sopportasti in quella notte il peso di tutte le nostre colpe e che per esse hai pagato completamente, fammi il grandissimo dono di una perfetta contrizione per le mie numerose colpe che ti fecero sudare sangue. Gesù benedetto, per la tua fortissima lotta del Gethsemani, dammi di poter riportare completa e definitiva vittoria nelle tentazioni e specialmente in quella cui vado maggiormente soggetto. O Gesù appassionato, per le ansie, i timori e le sconosciute ma intensissime pene che hai sofferto nella notte in cui fosti tradito, dammi una grande luce per compiere la tua volontà e fammi pensare e ripensare all’enorme sforzo e alla impressionante lotta che vittoriosamente sostenesti per fare non la tua ma la volontà del Padre. Sii benedetto, o Gesù, per l’agonia e le lacrime che versasti in quella notte santissima. Sii benedetto, o Gesù, per il sudore di sangue che avesti e per le angoscie mortali che provasti nella più agghiacciante solitudine che mai uomo potrà concepire. Sii benedetto, o Gesù dolcissimo ma immensamente amareggiato, per la preghiera umanissima e divinissima che sgorgò dal tuo Cuore agonizzante nella notte dell’ingratitudine e del tradimento. Eterno Padre, ti offro tutte le Sante Messe passate, presenti e future unito a Gesù agonizzante nell’Orto degli ulivi. Santissima Trinità, fa che si diffonda nel mondo la conoscenza e l’amore per la SS. Passione del Gethsemani. Fà, o Gesù, che tutti coloro che ti amano, vedendoti crocifisso, ricordino anche le inaudite pene tue nell’Orto e, seguendo il tuo esempio, imparino a ben pregare, combattere e vincere per poterti poi glorificare eternamente in cielo. Cosi sia.

23.XI.1963

   Con approvazione ecclesiastica + Macario, Vescovo di Fabriano