Getsemani – La Passione spirituale di Gesù nell’orto degli Ulivi

Scopriamo la terribile agonia di nostro Signore Gesù Cristo nell’orto degli Ulivi, in un podere chiamato Getsemani, rivelata ai Suoi santi. 

SIMONE FABIO SALICANDRO

Getsemani 
la Passione spirituale di Gesù nell’orto degli Ulivi

 

PRESENTAZIONE

Per redimere il genere umano, Gesù, il Figlio di Dio, deve consegnarSi alla Giustizia tremenda del Padre, perché così Sapienza infinita aveva voluto, come fosse l’unico e più grande peccatore mai esistito sulla Terra, espiando tutti i peccati del mondo, dal suo ini‐ zio alla sua fine, dalla Colpa di Adamo ed Eva al Giorno del Giudizio. Il Suo adorabile Corpo arriva a suda‐ re Sangue nel Getsemani (un podere sul monte degli Ulivi poco distante da Gerusalemme), preso da dolori indicibili che portano la Sua Anima a sperimentare una terribile e spaventosa Agonia la notte del Tradimento. Con le rivelazioni private di Gesù e con gli scritti dei santi della Sua Chiesa, oggi possiamo meditare profondamente il mistero della Passione spirituale di nostro Signore Gesù Cristo avvenuta nel Getsemani e comprendere più chiaramente quanto Dio ci abbia amato e cosa sia arrivato a sostenere pur di poterci salvare dalla Dannazione, prima ancora di soffrire la Passione fisica, seppur tanto dolorosa e umiliante, iniziata con il Suo arresto e conclusa con la Sua morte in croce. Il Getsemani è un mare di indicibili dolori e di infinite amarezze per Gesù, sofferenze che non tramontano in quella notte di tormento ma durano ancora oggi, nei secoli. Come scopriremo da questi scritti importantissimi, è volontà Divina e desiderio intimo di Gesù poterci rendere partecipi della sua Passione spirituale nel Getsemani, per trovare in noi degli amici, dei fratelli pronti a dargli sollievo nella sofferenza e addolcire le Sue pene. Entriamo con il Signore nel Getsemani, facciamoGli compagnia e diamoGli conforto, pregando l’Eterno Padre come Gesù aveva chiesto di fare ai Suoi tre Apostoli più fidati in quella notte spaventosa. Le gravissime parole del Salvatore riecheggino nella nostra mente e si posino nei nostri cuori rimanendovi custodite, siano impresse nella nostra anima come il sacratissimo Volto di Gesù si degnò per noi di rimanere impresso sul velo della Veronica: “La mia anima è triste fino alla morte. Restate qui e vegliate” (Mc.14,34).

Simone Fabio Salicandro

Vous n’avez pu veiller une heure avec moi? – James Tissot (1836 – 1902)

NEI VANGELI

La Passione spirituale di Gesù
descritta dagli Evangelisti

La narrazione dei fatti nei Vangeli ci porta a riflettere sull’essenziale. Nella premessa di quanto accadde la sera dell’arresto dobbiamo portare alla nostra mente gli avvenimenti della stessa a partire dall’Ultima Cena. 
Gesù sa di essere stato venduto da Giuda Iscariota e che quella del Giovedì Santo sarà l’ultima sera che passerà in compagnia dei suoi amici e Apostoli prima di dover affrontare la dolorosissima Passione e morire sulla croce. Per non lasciare solo nessuno dei Suoi fratelli “fino alla fine del mondo”, e per essere Nutrimento dei corpi e delle anime elette, si fa Pane vivo che discende dal Cielo: istituisce la Santissima Eucaristia e, dopo aver lavato i piedi agli Apostoli, in segno di perdono dei loro peccati, Da loro a mangiare Se stesso nel Sacramentato.Un momento di grande gioia per il Signore, che ricorda ai Suoi fratelli di esser venuTo al mondo proprio per celebrare quella pasqua, preludio della Sua Pasqua, non solo per loro, ma per tutta l’umanità.  Eppure Gesù sa benissimo che uno dei Suoi Apostoli lo tradirà. Sa benissimo che dovrà passare le pene dell’inferno, dapprima spiritualmente e poi fisicamente, per poter portare a compimento l’Opera voluta dall’Eterno Padre. Nulla è occultato alla Sapienza Infinita del Padre. Non c’è niente di cui il Figlio di Dio sia all’oscuro. Eppure l’amore infinito che prova per ognuno dei Suoi fratelli, figli dello stesso Padre che Ha volto per tutti la Salvezza, Lo spinge a sperare contro ogni speranza anche per coloro i quali avrebbero poi cinicamente rifiutato la grazia immensa e inestimabile scaturita dal Suo Preziosissimo Sangue, versato non solo per i presenti di quella sera, ma “per molti” in remissione dei peccati. E Questo Sangue Gesù  lo incomincia a versare già durante la Sua tremenda Agonia nell’orto degli Ulivi come “caparra” della nostra Redenzione. Leggendo i passi del Vangelo che ci illustrano la scena della preghiera di Gesù nel Getsemani, non possiamo comprendere lo stato dell’anima di nostro Signore fino in fondo, se non in minuscola, infinitesima parte, riflettendo sulle parole, riportate dagli Evangelisti, del Salvatore: «La mia anima è triste fino alla morte. Restate qui e vegliate», dando una risposta gravissima che mai era stata pronunciata dal Verbo di Dio fino a quel momento, ne prima e ne dopo l’incarnazione; mai aveva qualcuno udito un lamento così preoccupante e doloroso da parte del Messia: Lui che risuscitava i morti, liberava gli ossessi dai demòni, guariva gli infermi davanti a tutti, portava gioia nelle case e nelle famiglie e riconciliava i fratelli, che era sempre stato la Festa per chiunque lo avesse incontrato e riconosciuto, e che adesso afferma di provare una tristezza così profonda da morirne… quasi fosse arrivato ad essere un altro Gesù, tanto era terribile la prova che affrontava in quel momento la Sua umanità e tanto era lo spavento e lo strazio che provava nel Suo Sacratissimo Cuore e nella Sua dolcissima Anima! E dopo essere tonato dai Suoi, vedendoli addormentati, trasportato da un senso di amarezza profonda nei loro riguardi li rimprovera dicendogli  «Così non siete stati capaci di vegliare un’ora sola con me?» (Mt.26,40b), facendo comprendere con queste parole quanto avrebbe avuto bisogno in quel momento della compagnia attenta dei suoi amici più fidati e quanto sia stata la delusione di averli trovati addormentati. Quanto dicono queste parole! Ma può mente umana arrivare a comprendere il motivo completo del sudore di Sangue di Gesù in quella notte orribile? No, non può da sola, senza una Luce superiore che dilati le nebbie della nostra ignoranza e  rischiari ogni forma di dubbio nella nostra pochezza. Andiamo quindi a leggere con molta attenzione questi passi del Vangelo che ci aprono il cuore e la mente per poter poi capire, in modo più approfondito, seppur mai completo, tramite le rivelazioni private di Gesù e le parole dei Suoi strumenti, quanto sia stato veramente “amaro” quel Calice di cui sentiamo parlarne quasi di sfuggita in quei pochi versetti, quanto grande sia la grazia che Dio volle dare all’umanità intera attraverso la Passione di Suo Figlio nel Getsemani. Meditiamo sulla nostra personale condotta di vita, sul nostro impegno di vita Cristiano e domandiamoci sempre se tutto ciò che facciamo durante i momenti della nostra giornata siano causa di sollievo delle sofferenze di nostro Signore Gesù Cristo oppure causa di maggior tristezza per il Suo Sacratissimo Cuore. Entriamo anche noi con San Pietro, San Giovanni e San Giacomo Apostoli nel Giardino e in preghiera rimaniamo vigilanti come gli venne chiesto dal loro Maestro. 

Secondo Matteo

Dal capitolo 26


[36] Allora Gesù andò con loro in un podere, chiamato Getsèmani, e disse ai discepoli: “Sedetevi qui, mentre io vado là a pregare”. 


[37] E presi con sé Pietro e i due figli di Zebedèo, cominciò a provare tristezza e angoscia. 


[38] Disse loro: “La mia anima è triste fino alla morte; restate qui e vegliate con me”. 


[39] E avanzatosi un poco, si prostrò con la faccia a terra e pregava dicendo: “Padre mio, se è possibile, passi da me questo calice! Però non come voglio io, ma come vuoi tu!”. 


[40] Poi tornò dai discepoli e li trovò che dormivano. E disse a Pietro: “Così non siete stati capaci di vegliare un’ora sola con me? 


[41] Vegliate e pregate, per non cadere in tentazione. Lo spirito è pronto, ma la carne è debole”. 


[42] E di nuovo, allontanatosi, pregava dicendo: “Padre mio, se questo calice non può passare da me senza che io lo beva, sia fatta la tua volontà”. 


[43] E tornato di nuovo trovò i suoi che dormivano, perché gli occhi loro si erano appesantiti. 


[44] E lasciatili, si allontanò di nuovo e pregò per la terza volta, ripetendo le stesse parole. 


[45] Poi si avvicinò ai discepoli e disse loro: “Dormite ormai e riposate! Ecco, è giunta l’ora nella quale il Figlio dell’uomo sarà consegnato in mano ai peccatori. 


[46] Alzatevi, andiamo; ecco, colui che mi tradisce si avvicina”. 


[47] Mentre parlava ancora, ecco arrivare Giuda, uno dei Dodici, e con lui una gran folla con spade e bastoni, mandata dai sommi sacerdoti e dagli anziani del popolo. 


[48] Il traditore aveva dato loro questo segnale dicendo: “Quello che bacerò, è lui; arrestatelo!”. 


[49] E subito si avvicinò a Gesù e disse: “Salve, Rabbì!”. E lo baciò. 


[50] E Gesù gli disse: “Amico, per questo sei qui!”. Allora si fecero avanti e misero le mani addosso a Gesù e lo arrestarono. 


[51] Ed ecco, uno di quelli che erano con Gesù, messa mano alla spada, la estrasse e colpì il servo del sommo sacerdote staccandogli un orecchio. 


[52] Allora Gesù gli disse: “Rimetti la spada nel fodero, perché tutti quelli che mettono mano alla spada periranno di spada. 


[53] Pensi forse che io non possa pregare il Padre mio, che mi darebbe subito più di dodici legioni di angeli? 


[54] Ma come allora si adempirebbero le Scritture, secondo le quali così deve avvenire?”. 


[55] In quello stesso momento Gesù disse alla folla: “Siete usciti come contro un brigante, con spade e bastoni, per catturarmi. Ogni giorno stavo seduto nel tempio ad insegnare, e non mi avete arrestato. 

 

[56] Ma tutto questo è avvenuto perché si adempissero le Scritture dei profeti”. Allora tutti i discepoli, abbandonatolo, fuggirono.

Secondo Marco

Dal capitolo 14

[32] Giunsero intanto a un podere chiamato Getsèmani, ed egli disse ai suoi discepoli: “Sedetevi qui, mentre io prego”. 


[33] Prese con sé Pietro, Giacomo e Giovanni e cominciò a sentire paura e angoscia. 


[34] Gesù disse loro: “La mia anima è triste fino alla morte. Restate qui e vegliate”. 


[35] Poi, andato un pò innanzi, si gettò a terra e pregava che, se fosse possibile, passasse da lui quell’ora. 


[36] E diceva: “Abbà, Padre! Tutto è possibile a te, allontana da me questo calice! Però non ciò che io voglio, ma ciò che vuoi tu”. 


[37] Tornato indietro, li trovò addormentati e disse a Pietro: “Simone, dormi? Non sei riuscito a vegliare un’ora sola? 


[38] Vegliate e pregate per non entrare in tentazione; lo spirito è pronto, ma la carne è debole”. 


[39] Allontanatosi di nuovo, pregava dicendo le medesime parole. 


[40] Ritornato li trovò addormentati, perché i loro occhi si erano appesantiti, e non sapevano che cosa rispondergli. 


[41] Venne la terza volta e disse loro: “Dormite ormai e riposatevi! Basta, è venuta l’ora: ecco, il Figlio dell’uomo viene consegnato nelle mani dei peccatori. 


[42] Alzatevi, andiamo! Ecco, colui che mi tradisce è vicino”. 


[43] E subito, mentre ancora parlava, arrivò Giuda, uno dei Dodici, e con lui una folla con spade e bastoni mandata dai sommi sacerdoti, dagli scribi e dagli anziani. 


[44] Chi lo tradiva aveva dato loro questo segno: “Quello che bacerò, è lui; arrestatelo e conducetelo via sotto buona scorta”. 


[45] Allora gli si accostò dicendo: “Rabbì” e lo baciò. 


[46] Essi gli misero addosso le mani e lo arrestarono. 


[47] Uno dei presenti, estratta la spada, colpì il servo del sommo sacerdote e gli recise l’orecchio. 


[48] Allora Gesù disse loro: “Come contro un brigante, con spade e bastoni siete venuti a prendermi. 


[49] Ogni giorno ero in mezzo a voi a insegnare nel tempio, e non mi avete arrestato. Si adempiano dunque le Scritture!”. 

[50] Tutti allora, abbandonandolo, fuggirono.

Secondo Luca

Dal capitolo 22

[39] Uscito se ne andò, come al solito, al monte degli Ulivi; anche i discepoli lo seguirono. 


[40] Giunto sul luogo, disse loro: “Pregate, per non entrare in tentazione”. 


[41] Poi si allontanò da loro quasi un tiro di sasso e, inginocchiatosi, pregava: 


[42] “Padre, se vuoi, allontana da me questo calice! Tuttavia non sia fatta la mia, ma la tua volontà”. 


[43] Gli apparve allora un angelo dal cielo a confortarlo. 


[44] In preda all’angoscia, pregava più intensamente; e il suo sudore diventò come gocce di sangue che cadevano a terra. 


[45] Poi, rialzatosi dalla preghiera, andò dai discepoli e li trovò che dormivano per la tristezza. 


[46] E disse loro: “Perché dormite? Alzatevi e pregate, per non entrare in tentazione”. 


[47] Mentre egli ancora parlava, ecco una turba di gente; li precedeva colui che si chiamava Giuda, uno dei Dodici, e si accostò a Gesù per baciarlo. 


[48] Gesù gli disse: “Giuda, con un bacio tradisci il Figlio dell’uomo?”


[49] Allora quelli che eran con lui, vedendo ciò che stava per accadere, dissero: “Signore, dobbiamo colpire con la spada?”. 


[50] E uno di loro colpì il servo del sommo sacerdote e gli staccò l’orecchio destro. 


[51] Ma Gesù intervenne dicendo: “Lasciate, basta così!”. E toccandogli l’orecchio, lo guarì. 


[52] Poi Gesù disse a coloro che gli eran venuti contro, sommi sacerdoti, capi delle guardie del tempio e anziani: “Siete usciti con spade e bastoni come contro un brigante? 


[53] Ogni giorno ero con voi nel tempio e non avete steso le mani contro di me; ma questa è la vostra ora, è l’impero delle tenebre”. 


[54] Dopo averlo preso, lo condussero via e lo fecero entrare nella casa del sommo sacerdote. Pietro lo seguiva da lontano.

Secondo Giovanni

Dal capitolo 18

[1] Detto questo, Gesù uscì con i suoi discepoli e andò di là dal torrente Cèdron, dove c’era un giardino nel quale entrò con i suoi discepoli. 


[2] Anche Giuda, il traditore, conosceva quel posto, perché Gesù vi si ritirava spesso con i suoi discepoli. 


[3] Giuda dunque, preso un distaccamento di soldati e delle guardie fornite dai sommi sacerdoti e dai farisei, si recò là con lanterne, torce e armi. 


[4] Gesù allora, conoscendo tutto quello che gli doveva accadere, si fece innanzi e disse loro: “Chi cercate?”. 


[5] Gli risposero: “Gesù, il Nazareno”. Disse loro Gesù: “Sono io!”. Vi era là con loro anche Giuda, il traditore. 


[6] Appena disse “Sono io”, indietreggiarono e caddero a terra. 


[7] Domandò loro di nuovo: “Chi cercate?”. Risposero: “Gesù, il Nazareno”. 


[8] Gesù replicò: “Vi ho detto che sono io. Se dunque cercate me, lasciate che questi se ne vadano”. 


[9] Perché s’adempisse la parola che egli aveva detto: “Non ho perduto nessuno di quelli che mi hai dato”. 
[10] Allora Simon Pietro, che aveva una spada, la trasse fuori e colpì il servo del sommo sacerdote e gli tagliò

l’orecchio destro. Quel servo si chiamava Malco. 


[11] Gesù allora disse a Pietro: “Rimetti la tua spada nel fodero; non devo forse bere il calice che il Padre mi ha dato?”. 


[12] Allora il distaccamento con il comandante e le guardie dei Giudei afferrarono Gesù, lo legarono 


[13] e lo condussero prima da Anna: egli era infatti suocero di Caifa, che era sommo sacerdote in quell’anno.

An angel comforting Jesus before his arrest
in the Garden of Gethsemane , Carl Bloch (1834-1890)

GESÙ RACCONTA

La Passione spirituale di Gesù
nelle rivelazioni private

Dopo aver letto i Vangeli ci fermiamo qualche istante prima di proseguire nella lettura di questo libro per chiedere allo Spirito Santo di poterci illuminare della Sua Luce, donandoci maggior sapienza ed intelletto, affinché le parole del Signore nostro Gesù Cristo riportate qui di seguito possano in noi portare il Frutto da Lui sperato e voluto., ricordandoci che non siamo degni di aprire lo Scrigno di questo Tesoro  inestimabile che oggi il Cielo ci porta in dono gratuitamente e che con l’aiuto di Dio e la nostra buona volontà faremo dinnanzi tutto il possibile per conquistare il Cielo per amore e gloria di Dio, Uno e Trino, che ci ha amati da sempre e che, malgrado la nostra miseria, ha fatto di tutto per poterci ri-aprire le Porte del Paradiso. 

Dagli scritti di Suor Maria Cecilia Baij

Essendo arrivati all’orto, lasciai alla prima entrata otto dei miei apostoli, ai quali dissi, che orassero, affinché non li sorprendesse la tentazione. « Orate figliuoli miei», dissi loro, perché ora è tempo di raccomandarvi molto al Padre, onde ottenere che vi liberi dalla tentazione, e vi dia aiuto e forza, essendo vicino il travaglio! Restarono quivi mal volentieri i miei apostoli, presi da grave timore. Con tutto ciò, animati da me, rimasero a pregare, ma, poco dopo, si addormentavano.
Condussi Pietro, Giacomo e Giovanni vicino al luogo dove mi valevo porre ad orare, e quivi li lasciai, esortandoli a fare orazione. Condussi questi tre apostoli presso di me, perché erano stati spettatori della mia Trasfigurazione gloriosa, ed erano quelli, che, più degli altri, si mostravano ferventi. Pietro aveva protestato di voler morire con me, se fosse stato necessario; Giacomo e Giovanni si erano offerti di bere il calice. Lasciatili, dopo aver loro inculcato molto lo star vigilanti e l’orare, perché non entrassero in tentazione, mi allontanai da loro di poco e mi prostrai in terra, per orare al Padre mio.

La mia umanità aveva inteso rincrescimento ed orrore nell’entrare nell’orto, sapendo il grande travaglio e l’amarezza che mi era stata preparata. Animato, però, dal pensiero che andavo ad adempire la volontà del Padre, entrai con generosità, pronto a soffrir tutto. Essendomi posto ad orare al Padre, facendogli profonda adorazione, mi senti riempire tutto di un più grave timore ed amarezza, per l’imminente passione e morte. Intesi orrore per i gravi patimenti, che mi erano stati preparati, ed esposi al Padre il mio travaglio, dicendogli: « Padre mio, se è possibile, passi da me questo calice; nondimeno non si faccia la mia volontà, ma la tua; » mostrandomi così pronto a soffrire tutto per adempire la volontà del Padre. A questa richiesta mi sentii riempire di maggiore tristezza, trovandomi come abbandonato dal Padre, il Quale lasciava che la parte inferiore, cioè, l’umanità mia sentisse tutto il travaglio e l’amarezza, senza, che la parte superiore, cioè, la divinità che era unita a me, mi desse alcun conforto.

Stando quindi solo, abbandonato, senza alcun conforto, mi riempi di grave desolazione. Vidi allora tutte quelle anime che avrebbero patito travagli e tristezze interne, senza trovar conforto alcuno, permettendolo il Padre per altissimi fini. Per esse intesi dolore e pregai il Padre onde si degnasse di raddolcir loro la grave pena, offrendomi pronto a soffrire io tutta l’amarezza e tristezza; capii che il Padre avrebbe addolcito le loro amarezze, in virtù della tristezza sì grande che io soffrivo. Io gliene resi grazie da parte di tutti. Non ti apporti meraviglia, il sentire che, essendo allora come abbandonato dal Padre, con l’umanità mia priva di ogni conforto, da parte della divinità, che a me stava unita, intendessi ciò che il Padre avrebbe operato a favore dei miei fratelli, per i quali istantemente pregavo: questo abbandono era solo per la persona mia, per privare me d’ogni conforto, non già per quello che riguardava il bene e l’utile dei miei fratelli.

Stando, dunque, così in preghiera, vedevo che i miei apostoli si erano addormentati. Volli andare a destarli, perché non li sorprendesse la tentazione: vedevo il nemico infernale che si studiava molto per farli cadere in pusillanimità. Ed allora più che mai, per il tradimento di Giuda, aveva preso ardire, e la faceva da padrone crudele, istigando tutti contro di me, per procurare la mia morte, perché, stando io al mondo, gli erano di gran tormento le perdite che faceva. Non potendo il nemico penetrare, che io fossi veramente il Messia promesso, i demoni fecero fra di loro un conciliabolo, risolvendo di istigar tutti contro di me, e farmi patire, per mezzo dei ministri di giustizia, tutti gli strapazzi ed i tormenti immaginabili, sperando di farmi perdere la virtù della pazienza, che sino allora avevo esercitata, come anche per scoprire chi fossi.

Alzatomi pertanto dalla mia penosa orazione, andai a destare i discepoli che dormivano. Dissi loro che vegliassero ed orassero, perché non entrassero in tentazione. Destati i discepoli, e postisi di nuovo ad orare, tornai alla mia orazione. Allora supplicai il Padre a volersi degnare di destare i miei fratelli, quando fossero sorpresi dal sonno pernicioso della tiepidezza e della trascuratezza dell’obbligo di attendere alla loro eterna salute. E vidi, che il Padre l’avrebbe fatto con vari e opportuni rimedi, secondo il bisogno di ciascuno. Per questo intesi qualche sollievo alla mia grave amarezza, benché sentissi molta pena, nel vedere che pochi se ne sarebbero approfittati, ritornando a dormire, come fecero i miei apostoli, che il nemico infernale procurava di opprimere col sonno, perché non facessero orazione; in tal modo stimava di poterli vincere facilmente.
Vidi allora io tutti quelli cui il demonio avrebbe impedita l’orazione, perché, trovandoli sprovvisti di questa fortissima e potentissima arma, può vincerli molto facilmente. Per questo parlai tanto ai miei apostoli della necessità di fare orazione, e nella persona dei miei, apostoli, a tutti i miei fratelli. Pregai il divin Padre di dar lume a tutti, affinché conoscano questa verità, e la necessità grande che ognuno ha di orare, per poter vincere il nemico infernale. E vidi, che il Padre non avrebbe mancato di dare a tutti il suddetto lume. Vidi ancora che molti se ne sarebbero approfittati, e, con questa potente arma, avrebbero vinto i loro nemici, ottenendo molte grazie dal divin Padre. Di ciò godei, benché sentissi grande amarezza nel vedere il numero grande di coloro che se ne sarebbero abusati, rimanendo vinti dai loro nemici infernali. Volli anche lasciare esempio ai miei seguaci, che a volte devono lasciare i pii esercizi, per aiutare i loro prossimi bisognosi, in pericolo di perdersi, affinché tornassero poi a pregare, come vi tornai io.

Genuflesso, adorato ancora il divin Padre, tornai a supplicarlo dicendo: «Padre mio, se è possibile, passi da me questo calice; non si faccia però la mia volontà, ma la tua ». Volli anche in questo, lasciare esempio ai miei fratelli, insegnando il modo con cui devono pregare il Padre, esponendogli il loro desiderio, rimettendosi, però, tutti al divin beneplacito.

In questa seconda orazione, sentendomi abbandonato, mi riempi di più grave tristezza: e come derelitto, v’intesi tedio e mestizia. Si rappresentarono alla mia mente tutti i patimenti che avrei dovuto soffrire nel corso della mia acerbissima passione: le ingiurie, gli strapazzi, le derisioni. Permisi alle dette passioni che mi tormentassero per soffrirne volontariamente tutta l’amarezza, la pena, lo sfogo sopra la persona mia, onde ottenere che restassero mitigate e raddolcite per tutti i miei fratelli, quando essi le avessero dovute soffrire per l’adempimento della volontà del divin Padre.

Trovandomi, perciò, in grande abbattimento, oppresso da tante pene, ricolmo di affanno, mi ridussi in mortale agonia, senza conforto alcuno. Vedevo anche la mia diletta Madre, che si trovava in grande affanno, perché sentiva, nel suo cuore amante, i crucci che io stavo provando; questo accresceva il mio travaglio. Tutti i miei discepoli dormivano, ed io ero solo, derelitto, abbandonato, tra sfinimenti di morte. Non vi era chi mi dicesse una parola di conforto. E ciò che più mi crucciava era l’abbandono del Padre. Prolungai con tutto ciò la mia penosa orazione, soffrendo allora nella mente tutto ciò che poi avrei sofferto nel corpo durante la mia acerbissima passione.

O sposa mia, quanto vidi e quanto intesi di travaglio e di pena in questa penosissima orazione! Offrivo tutto al Padre in sconto delle offese, che riceveva dai miei fratelli. Stando in sì penosa agonia, soffrivo anche una grandissima debolezza di forze corporali; prostrato colla faccia in terra, replicavo le preghiere al Padre; ma il Padre mi lasciò in grave affanno, dimostrando di non ascoltarmi. 

Essendo stato per un pezzo a penare in tal modo, mi alzai a fatica dall’orazione, ed andai di nuovo a destare i miei apostoli, che dormivano, dicendo a Pietro: Simone, anche tu dormi? Non hai potuto vegliare neppure un ora con me? Volevo con queste parole fargli conoscere, che, se non poteva stare per breve tempo in orazione e vegliare con me, come poi avrebbe potuto morire con me, se fosse stato necessario? Dissi queste parole a Pietro, e, nella persona sua, a tutti quelli che fanno promesse, di voler patire e soffrire grandi cose per amor mio e per imitarmi, e poi, all’occasione, non sanno soffrire neppure un incomodo, né la privazione di una minima soddisfazione, come fece Pietro, che non seppe superare un po di sonno. Vidi allora tutti coloro che l’avrebbero imitato in questo suo darsi al sonno durante il mio grave travaglio, e ne intesi amarezza.

Svegliati i miei apostoli, dissi loro il mio grande patire:
« Sappiate che l’anima mia si trova in tristezza, sino a soffrire l’agonia di morte». Ciò dissi loro con parole molto compassionevoli; ma essi, sbigottiti ed oppressi dal sonno, non mi dissero neppure una parola di conforto. Onde io, tutto afflitto e amareggiato, di nuovo ricorsi all’orazione.

Prostrato in terra e adorato il divin Padre, Gli ripetei: «Padre mio, se è possibile, passi da me questo calice: non si faccia, però, la mia volontà, ma la tua». Il Padre neppure allora mi confortò, ma, lasciandomi abbandonato alla mestizia, alla tristezza e all’amarezza, mi riempì di un più grave affanno.

Allora si presentarono alla mia mente tutti i peccati dei miei fratelli, dal principio sino alla fine del mondo, con tutto il loro peso, gravezza e misura. Vidi la mia persona che si era addossata tutto il peso per pagare alla divina giustizia una traboccante soddisfazione. Vidi l’ira paterna contro di me, per le colpe addossatemi. Vidi la gravezza delle offese al divin Padre, da me infinitamente amato. Vidi, di nuovo, la gravezza ed acerbità della mia passione e morte, per pagare il debito di tanti delitti. Vidi il numero grandissimo di quelli che si sarebbero dannati, per i quali sarebbero stati inutili i miei gravissimi patimenti ed il mio sangue sparso con tanta carità ed amore. Vidi le offese di coloro che si sarebbero salvati, e che pur essendo anime elette, avrebbero offeso molto il divin Padre, ravvedendosi poi. Vidi tutto ciò che si sarebbe operato nel mondo. Vidi la dignità della mia persona esposta a sì gravi tormenti, e il poco conto che i miei fratelli ne avrebbero fatto. Allora, immerso in un mare di crucci e di tormenti, rivolgendomi al Padre, provai un grandissimo dolore per le molte e gravi offese che aveva e che avrebbe ricevuto sino alla fine del mondo; ed in siffatto dolore caddi in terra bocconi, sudando vivo sangue, che, uscendo dal mio corpo, scorreva in terra a gocce ben grosse. Offri quel sangue al Padre per placare il suo sdegno, in caparra di quello che avrei sofferto durante la mia passione e morte, e di tutto il sangue che avrei in essa versato.

Stando in così grave tormento, bagnato di sanguigno sudore, agonizzante, caduto in terra, vedevo che il traditore Giuda e tutta la sbirraglia si erano adunati insieme per venire a prendermi. Ciò causava maggior cruccio al mio cuore afflitto, in modo che arrivarono al colmo le mie pene, i miei dolori e la mia amarezza. Mi trovavo in tale stato che sarei morto, se il Padre, con la sua potenza, non mi avesse conservato in vita. In me la divinità serviva solo per questo prodigio: che non restassi morto sotto il peso di sì gravi tormenti.
Alla fine si placò il Padre, per l’offerta che gli feci dell’acerbissimo dolore, della contrizione che avevo di tutte le offese del genere umano é del sudore sanguigno che versai; per cui, soddisfatta appieno la divina giustizia, Egli mandò un angelo perché mi confortasse e mi animasse a bere l’amaro calice della passione, essendo quella la volontà Sua.

Udita la volontà, del Padre mio, e confortato dall’angelo, mi alzai da terra con generosità, bramando di adempirla. Riacquistate le forze, adorai di nuovo il Padre, lo ringraziai del conforto inviatomi, e gli offri tutto ciò che avevo patito, in sconto di tante offese del genere umano, supplicandolo di molte grazie per tutti i miei fratelli, in virtù di quello che gli offrivo.
Mentre stavo agonizzante, vidi tutti i miei fratelli ad uno ad uno, e non solo vidi tutte le offese che avrebbero fatte al Padre mio, ma anche tutti i loro bisogni e necessità, sia spirituali che temporali, e ne intesi compassione. Perciò, riavuto dalla penosissima agonia, pregai il divin Padre per tutti in generale, e per ciascuno in particolare, affinché si fosse degnato di soccorrerli con la sua divina grazia, secondo il loro bisogno. Gli domandai questo, in virtù di quanto avevo patito. Il Padre così fu placato per le offerte che gli avevo fatto e per la contrizione che per tutti avevo avuta e vidi, che non avrebbe mancato di fare quanto gli chiedevo. Di questo intesi consolazione, benché fu più l’amarezza e soffri, nel vedere il gran numero di quelli, che se ne sarebbero abusati. 

Supplicai ancora il Padre di dare ai miei fratelli un vero dolore di tutte le loro colpe, quando gliel’avessero domandato con umiltà, e specialmente a quelli, che, stando vicini alla morte, nella penosa agonia, ne hanno grande necessità. Questo glielo domandai in virtù della contrizione che io ebbi, allorché ero agonizzante. Vidi che il Padre gliel’avrebbe dato, e che molti, per questa contrizione, si sarebbero salvati. Io ne intesi consolazione e ne resi grazie al Padre. Ebbi però dell’amarezza, nel vedere che molti se ne sarebbero resi indegni, perché durante la loro vita, non l’avrebbero richiesta mai al Padre, ed in morte non se ne sarebbero neppur curati, per cui sarebbero periti miseramente. Gli domandai ancora, in virtù della pena che soffri nella mia penosa agonia, che si fosse degnato di addolcire le amarezze dell’agonia a tutti i miei fratelli, e che, infine li avesse confortati, così come aveva fatto con me, mandandomi l’angelo confortatore. Il Padre tutto mi promise, e vidi che avrebbe tutto eseguito fedelmente con paterno amore. Di ciò gli resi le dovute grazie, anche a nome dei fratelli. 

Ottenuto tutto dal Padre, lo lodai e lo ringraziai per tanta misericordia e bontà, ed andai di nuovo dai miei apostoli, che dormivano, ma con timore, per quello che avevo detto loro prima; quindi soggiunsi che dormissero e riposassero anche, per quel breve tempo che ci restava, giacché non avevano potuto vegliare. Poi, ritirato di nuovo, mi offri al Padre, pronto a soffrire quanto mi era preparato nel corso della mia acerbissima passione, per adempire la sua volontà divina. Anzi, acceso da una brama ardente di patire, aspettavo l’ora con gran desiderio ed amore, perché si compisse l’opera dell’umana redenzione.

Andai a destare i miei discepoli, dicendo : «Alzatevi ed andiamo incontro ai miei nemici, perché si avvicina l’ora, nella quale il Figliuolo dell’uomo sarà dato in mano ai peccatori. Ecco, che si appressa il traditore ». Si destarono i miei apostoli, ma tutti sbigottiti, per le suddette parole, ed intimoriti, perché, non avendo orato, come io avevo ordinato loro, si trovarono privi della forza e della virtù, che suole apportare all’anima la fervente orazione. 

Hai inteso, sposa mia, come sia necessaria l’orazione; perciò ti stia a cuore la pratica di questo sì importante esercizio, non trascurandola giammai, perché tu sia ben provvista di armi per combattere contro i tuoi nemici infernali, contro le tue passioni, ed anche per ottenere dal Padre mio le grazie, per te per i tuoi prossimi. Offri spesso la contrizione che ebbi, in questa mia penosa orazione, con il sangue che sparsi, per la conversione dei peccatori e per ottenere il perdano delle offese e ti assicuro che il Padre mio gradirà molto quest’offerta; domandaGli anche una vera contrizione ed il dolore per te e per i tuoi prossimi, specialmente per i peccatori, perché piace molto al Padre mio un cuore contrito ed umiliato. Nella tua orazione domanda tutte le grazie necessarie per te e per i tuoi prossimi, e, se vedi che non sei esaudita, non ti perdere d’animo, ma continua a domandare. Non ti stanchino mai il tedio e la tristezza che, a volte, proverai in questo esercizio, ma uniformati sempre alla divina volontà. Hai inteso il modo con cui devi orare e domandare: esponendo il tuo bisogno, o il tuo desiderio, e rimettendoti alla volontà del Padre. E, quando intendi la sua volontà, eseguiscila con prontezza, senza replica, senza turbamento, come feci io, quando, udita la volontà del Padre, che dovessi bere l’amaro calice, subito mi alzai ed andai incontro ai miei nemici. E fa tutto con amore e desiderio di dar gusto al mio divin Padre.

Dagli scritti di Suor Josefa Menéndez

Umiliati, bacia la terra – dice Gesù a Josefa – e vieni con me… andiamo al Getsemani… e la tua anima si riempia dei sentimenti di tristezza che inondarono la mia in quell’ora.

Dopo aver predicato alle turbe, curato gli infermi, dato la vista ai ciechi, risuscitato i morti… dopo aver vissuto tre anni in mezzo ai miei apostoli, per formarli ed insegnare la mia dottrina… avevo infine appreso loro con l’esempio ad amarsi e sopportarsi vicendevolmente, ad esercitare la carità verso gli altri, lavando loro i piedi e facendomi loro cibo.

«Ora è giunta l’ora in cui il Figlio di Dio fatto uomo, Redentore del genere umano, sta per spargere il suo sangue e dare la vita per il mondo….».

In quell’ora volli pormi in preghiera per abbandonarmi alla volontà del Padre mio. Anime care, imparate dal vostro Modello che l’unica cosa necessaria, per grandi che siano le ribellioni della natura, è di sottomettersi e offrirsi umilmente con atto coraggioso della volontà a fare quella di Dio in qualsiasi circostanza. Imparate anche da Lui che ogni azione importante deve essere preceduta e vivificata dalla preghiera, perché nell’orazione l’anima attinge la sua forza nelle ore difficili e Dio le si comunica, consigliandola, ispirandola, anche se essa non se ne accorge.

Mi ritirai nell’orto degli ulivi, cioè nella solitudine, per insegnare alle anime a cercare Dio lontano da tutto e nell’intimo di loro stesse. Per trovarLo facciano tacere i moti della natura, così spesso contrari alla grazia, i ragionamenti dell’amor proprio o della sensualità che sempre cercano di soffocare le ispirazioni della grazia e si oppongono al contatto dell’anima con Dio… Adorate i suoi disegni su di voi qualunque siano… e tutto il vostro essere si prostri come conviene che faccia una creatura alla presenza del Creatore!

Così mi offersi Io per compiere l’opera della redenzione del mondo. Nello stesso istante sentii pesare su di me tutti i tormenti della passione: le calunnie e gli insulti… i flagelli e la corona di spine… la sete… la croce!… Tutti quei dolori si affollarono davanti ai miei occhi insieme con la moltitudine delle offese, dei peccati e dei delitti che si sarebbero commessi nel corso dei secoli. E non soltanto li vidi, ma me ne sentii ricoperto… e sotto questo fardello d’ignominie mi dovetti presentare al Padre celeste per implorare misericordia. Allora sentii su di me la collera di Dio offeso ed irritato e mi offersi come garante, Io, suo Figlio, per calmare il suo sdegno e soddisfare alla sua giustizia. Ma sotto il peso di tanti delitti la mia natura umana fu presa da tale angoscia, da tale agonia mortale, che tutto il mio Corpo fu coperto di un sudore di sangue.

O peccatori, che mi fate soffrire in tal modo!… vi darà questo sangue la salvezza e la vita?… o sarà perduto per voi? Come esprimere il mio dolore al pensiero di questo sudore, di queste angosce, di questa agonia, di questo sangue… inutile per tante e tante anime?…

Avvicinati a me, e quando mi vedrai immerso in un oceano di tristezza, vieni con me a cercare i tre discepoli che ho lasciato ad una certa distanza. Li avevo presi con me per riposarmi presso di loro facendoli partecipi delle mie preghiere e della mia angoscia. Ma come esprimere ciò che provò il mio Cuore quando, cercandoli, li trovai immersi nel sonno? Com’è triste, per chi ama, trovarsi solo, senza potersi confidare con i suoi cari!… Quante volte il mio Cuore soffre lo stesso dolore… e quante volte cercando qualche sollievo presso le anime scelte le trovo addormentate!… Invano cerco di destarle e di trarle fuori da se stesse, dalle loro preoccupazioni personali, dalle loro vane ed inutili occupazioni… Troppo spesso mi rispondono, se non a parole, almeno con i fatti: ora non posso… ho troppo da fare… sono troppo stanca… ho bisogno di pace!… Allora – insistendo – dolcemente Io ripeto a quest’anima: vieni un momento, vieni a pregare con me: è adesso che Io ho bisogno di te: non aver paura di lasciare per me questo riposo, perché Io stesso sarò la tua ricompensa… E ricevo la stessa risposta!… Povera anima sonnacchiosa che non può vegliare un’ora con me!…

Anime care, imparate qui ancora come sia inutile e vano cercare sollievo presso le creature. Quante volte non troverete presso di loro che un accrescimento di amarezza perché esse sono addormentate e non corrispondono né alla vostra fiducia né al vostro amore…

Ritornando alla mia preghiera, mi prostrai un’altra volta, adorai il mio Padre, implorando il suo aiuto… Non dissi: «Mio Dio», ma «Padre mio». Quando il vostro cuore soffre di più, allora dovete chiamare anche voi Dio vostro Padre. SupplicateLo di aiutarvi, esponeteGli le vostre sofferenze, i vostri timori, i vostri desideri, e con il grido della vostra angoscia ricordateGli che siete sue figlie. DiteGli che il vostro corpo è sfinito… il vostro cuore oppresso fino alla morte… che l’anima sembra sperimentare il sudore di sangue. PregateLo con fiducia filiale e aspettate tutto da Colui che vi è Padre. Egli vi consolerà e vi darà la forza necessaria per affrontare la tribolazione e la sofferenza, sia la vostra che quella delle anime a voi affidate.

L’anima mia, triste e sgomenta, doveva sopportare un’angoscia ancora più mortale poiché, sotto il peso delle iniquità degli uomini, e in ricambio di tanti patimenti e di tanto amore, non vedevo che oltraggi e ingratitudini! Il sangue che mi sgorgava da tutti i pori, e che avrei versato da tutte le mie ferite, sarebbe stato inutile per tante anime!… molte sarebbero andate perdute… altre in più gran numero mi avrebbero offeso… e moltitudini intere non mi avrebbero neppure conosciuto…

Ed il mio sangue lo avrei sparso per tutte, e i miei meriti sarebbero stati offerti ad ognuna!… Sangue divino! Meriti infiniti!… inutili per tante e tante anime!… Si, per tutte avrei versato il mio sangue e tutte sarebbero state amate di grande amore… Ma quante per cui questo amore sarebbe stato più delicato, più tenero, più ardente!… Da queste anime scelte mi sarei aspettato più consolazioni e più amore, più generosità e abnegazione… in una parola, più corrispondenza alla mia bontà…

Vidi in quel momento molte tra esse allontanarsi da me… alcune chiudere le orecchie alla mia voce… altre ascoltarla senza seguirla… altre corrispondere alla chiamata per un po’ di tempo, ed anche con una certa generosità… poi addormentarsi a poco a poco, dicendomi infine con le loro opere: ho lavorato abbastanza… sono stata fedele ai miei obblighi fino alle minuzie… ho vinto la natura… ho praticato l’abnegazione… ora ho bisogno di un po’ di libertà… non sono più una bambina… tante rinunzie… tanta vigilanza non mi occorrono più… posso ben dispensarmi da quella cosa che m ‘incomoda, ecc… «Povera anima! Così dunque tu incominci a dormire?… Fra poco ritornerò e nel tuo sonno non mi sentirai più… ti offrirò la mia grazia e tu non la riceverai… Avrai tu la forza di risvegliarti un giorno? Non c’è piuttosto da temere che, rimasta così a lungo senza nutrimento, ti indebolisca e non possa più uscire dal letargo?… Anime care, sappiate che molte furono sorprese dalla morte in mezzo ad un sonno profondo… e dove, e come si risvegliarono?

Tutto questo fu allora presente ai miei occhi e al mio Cuore. Che fare?… Retrocedere?… domandare al Padre mio di liberarmi da quell’angoscia?… Rappresentargli l’inutilità del mio sacrificio per tante anime?… No, mi sottoposi nuovamente alla sua santissima volontà e accettai il mio calice per esaurirlo fino alla feccia! L’ho fatto per insegnarvi, anime care, a non indietreggiare di fronte alla sofferenza. Non credetela inutile mai, anche se non ne vedete il frutto. Sottomettete il vostro giudizio e lasciate che si compia in voi la volontà divina. Per me, Io non volli retrocedere né fuggire. E pur sapendo che là, in quel giardino, i miei nemici stavano per prendermi, vi restai.

Dopo essere stato confortato dall’Angelo inviatomi dal Padre, vidi avvicinarsi Giuda, uno dei miei dodici apostoli, e dietro a lui quelli che dovevano catturarmi. Erano armati di bastoni e di pietre ed erano carichi di catene e di corde per impossessarsi di me e legarmi. «Mi alzai e avvicinandomi a loro dissi: Chi cercate? Allora Giuda, posandomi le mani sulle spalle, mi abbracciò!

Che fai, Giuda? Che significa questo bacio?… A quante anime potrei dire: Che fate?… perché mi tradite con un bacio? Anima che Io amo, che vieni a ricevermi e che tante volte mi hai ripetuto di amarmi… mi hai appena lasciato e già mi consegni ai miei nemici!… Ben sai che in quella riunione che ti attira si fanno discorsi offensivi per me, e tu che mi hai ricevuto stamani e che forse mi riceverai domani… perdi in quel luogo il candore prezioso della mia grazia!… Ad un’altra dirò: Perché persisti in quell’affare che t’insozza le mani? Non sai che non è lecito il mezzo con cui ti procuri quel guadagno, quella posizione, quel benessere?… Tu mi ricevi, tu mi abbracci come Giuda… perché fra qualche istante, fra qualche ora, darai tu stessa ai miei nemici il segno dal quale mi riconosceranno per impadronirsi di me! Mi rivolgerò anche a te, anima cristiana, che mi tradisci con quell’amicizia pericolosa. Non solo mi incateni e mi lapidi tu, ma per causa tua anche un’altra persona mi tradisce. Perché mi consegni così… mentre mi conosci e in varie occasioni ti glori della tua pietà e della tua carità?… Senza dubbio potresti raccogliere un gran merito… ma in realtà che cosa sono se non un velo che copre la tua malizia?…

Amico mio, perché sei venuto? Giuda, con un bacio tradisci il Figlio di Dio, il tuo Maestro e Signore! Colui che ti ama e che è pronto a perdonarti ancora!… Tu, uno dei miei dodici!… Tu, uno di quelli che sono stati a mensa con me, e a cui Io ho lavato i piedi!…

Quante volte Io posso e devo parlare così alle anime predilette del mio Cuore!… Anima amata, perché ti lasci trasportare da quella passione?… perché le lasci libero corso?… Non è sempre in tuo potere liberartene: ma Io non ti domando che di combattere, di lottare, di resistere… Che sono i godimenti di pochi istanti se non i trenta denari per i quali Giuda mi tradì e che servirono unicamente alla sua rovina? Quante anime mi hanno venduto e mi venderanno ancora per il prezzo vilissimo di un piacere passeggero!… povere anime… chi cercate? Me?… Quel Gesù che avete conosciuto, che avete amato!… Lasciate che vi dica queste parole: vegliate e pregate! Sì, lavorate senza tregua affinché i vostri difetti e le vostre inclinazioni non diventino abitudini.

Ogni anno, spesso anche ad ogni stagione, bisogna falciare l’erba dei campi: bisogna arare la terra per fortificarla e svellerne le erbe cattive. Così l’anima deve sorvegliare e raddrizzare con cura le sue difettose inclinazioni. Non è sempre la colpa grave quella che apre la via ai peggiori disordini. E il punto di partenza verso le cadute più gravi è spesso una piccola cosa: un piccolo godimento, un momento di debolezza, una condiscendenza, forse lecita, ma poco mortificata, un divertimento legittimo in sé, ma poco conveniente… E mentre tutto questo cresce e si moltiplica, l’anima a poco a poco si acceca, la grazia ha sempre meno efficacia, la passione si fortifica e finisce per trionfare. Com’è triste per il cuore di un Dio che ama infinitamente vedere tante anime insensibilmente avviarsi all’abisso…

Ricordati – dice Gesù a Josefa – che non sono i tuoi meriti che attirano verso di te il mio Cuore, ma la tua miseria e la compassione che ho per te!… Prendi la mia croce e non temere. Non supererà mai le tue forze poiché l’ho misurata e pesata sulla bilancia dell’amore. Sai tu veramente quanto ti amo? E quanto amo le anime? Per esse Io mi servo di te, perché per quanto piccola tu sia e per quanto poco tu valga, voglio utilizzare la tua piccolezza conservandoti unita ai miei meriti ed al mio Cuore. Rimani con la mia croce e soffri per le anime e per mio amore!

… Bacia la terra e umiliati!…Ti ho detto, Josefa, come le anime che mi offendono gravemente mi consegnano ai miei nemici affinché mi diano la morte, anzi sono esse che si costituiscono mie nemiche e l’arma della quale si servono contro di me è il peccato. Però non sempre si tratta di gravi cadute. Vi sono anche anime, persino tra quelle che ho scelto (cioè consacrate e religiose), che mi tradiscono con le loro colpe abituali, le cattive tendenze non combattute, le concessioni alla natura immortificata, le mancanze alla carità, all’obbedienza, al silenzio, ecc… E se il mio Cuore soffre per le colpe e le ingratitudini del mondo, quanto più quando si tratta delle offese che gli vengono da anime particolarmente amate!…

Se il bacio di Giuda mi cagionò tanto dolore, fu precisamente perché egli era uno dei miei dodici e da lui come dagli altri attendevo più amore, più consolazione, più delicatezza! Da voi, scelte per luogo del mio riposo e giardino delle mie delizie, anche da voi aspetto molto più amore, tenerezza e delicatezza che non da altre anime che non mi sono così intimamente unite!… Tocca a voi essere il balsamo delle mie ferite, asciugarmi il volto deturpato e sfigurato, aiutarmi ad illuminare tante anime cieche, che nell’oscurità della notte mi afferrano e mi legano per condurmi alla morte. Non lasciatemi solo… Destatevi e venite a pregare con me, perché gia i miei nemici sono arrivati.

Quando i soldati si avvicinarono per prendermi dissi loro: «Sono Io!». Ed ecco le parole che ripeto all’anima che si avvicina al pericolo ed alla tentazione: «Sono Io». Sì, «Sono Io». Tu vieni per tradirmi e consegnarmi: non importa! Vieni, perché sono tuo Padre e se vuoi, c’è tempo ancora: ti perdonerò e invece di legarmi tu con i tuoi peccati ti stringerò Io con i legami del mio amore. Vieni, sono Colui che ti ama, Colui che ha sparso il suo sangue per te! Ho compassione della tua debolezza e ti aspetto ansiosamente per riceverti nelle mie braccia! Vieni, anima di mia sposa, anima di mio sacerdote!… Sono l’infinita misericordia! Non temere, non ti punirò… non ti respingerò… ma ti aprirò il mio Cuore e ti amerò con maggior tenerezza… La tua bellezza ritrovata farà l’ammirazione del cielo e il mio Cuore si riposerà in te.

Ah! Quale tristezza per me, quando dopo questo invito ad anime cieche ed ingrate, esse mi legano e mi conducono alla morte! Dopo che mi ebbe dato il bacio del tradimento, Giuda uscì dall’orto e, comprendendo l’enormità del suo delitto, si disperò. Chi potrà misurare il mio dolore quando vidi il mio apostolo correre alla perdizione eterna?… Ma era venuta l’ora e, lasciando ogni libertà ai soldati, mi consegnai a loro con la docilità di un agnello. Mi trascinarono subito alla casa di Caifa, dove fui ricevuto con beffe ed insulti e dove uno dei servi mi diede il primo schiaffo! Il primo schiaffo… Josefa, comprendilo bene: questa sofferenza superò forse quella dei colpi dei flagelli?… No, senza dubbio, ma in quel primo schiaffo vidi il primo peccato mortale di tante anime fino allora in stato di grazia… e dopo il primo… quanti ancora!… E quante anime trascinate dall’esempio allo stesso pericolo… forse alla stessa sventura: quella di morire in peccato!

… passa oggi la giornata – conclude Gesù – riparando e pregando affinché molte anime conoscano dove conduce la strada che battono…

The Agony in the Garden by Giordano Luca (1634-1705)

LE ESPERIENZE DEI SANTI

La Passione spirituale di Gesù
vista dai santi e mistici della Sua Chiesa

Abbiamo letto le parole del Signore Gesù Cristo e ancora ci sembrano vive nel nostro cuore e nella nostra mente. Mai avremmo pensato che tanto grande fosse stata la sofferenza di Dio nell’orto degli Ulivi e d’ora in avanti vedremo le cose in maniera diversa quando leggeremo i passi del Vangelo in Chiesa, durante la Santa Messa, o a casa con le nostre famiglie che riguardano la notte del Tradimento.  Queste parole ci hanno maggiormente unito a nostro Signore perché ci hanno fatto sentire ancora una volta, in un modo diverso, la nostra importanza per Lui e l’amore che Dio ha per noi. Quanto gioisce il cuore di un padre perché i suoi figli rispondono al suo amore con partecipazione… e quanto più quello del Padre nostro che è nei Cieli, che ha pensato a questo momento dall’eternità! Entriamo nuovamente nel Getsemani ma stavolta in una prospettiva diversa, seppur intimamente unita, cioè quella dei santi e beati della Chiesa di Dio, la Chiesa Cattolica. Immergiamoci nell’esperienza mistica vissuta da questi santi Strumenti affinché ci sia confermata in abbondanza la Grazia che abbiamo ricevuto dalle letture precedenti, e in noi sia lo splendore e la potenza dello Spirito Santo, per aver fiducia incrollabile nella Misericordia dell’Eterno Padre e vivere come allegri testimoni del Cristo Risorto dalla morte! AlleluJa!

Secondo la beata Anna Caterina Emmerich

Attraversarono un ponte sul torrente Cedron e si fermarono nel giardino del Getsemani. Era questo un luogo adatto alla meditazione e alla preghiera; qualche volta veniva anche utilizzato dalle persone prive di un proprio giardino per organizzarvi feste e banchetti. Il Getsemani è ampio, circondato da una siepe, pieno di alberi e di fiori. Vidi anche alcune capanne di frasche. Gli apostoli avevano la chiave del giardino.

Nelle notti precedenti Gesù vi si era ritirato con i suoi apostoli per istruirli circa la scienza divina; quella notte, però, scelse di pregare solo nell’orto degli Ulivi, che è lì vicino, cinto da un muro. Il Signore lasciò otto apostoli all’ingresso del Getsemani e portò con sé soltanto i prediletti: Pietro, Giacomo e Giovanni. Giunto nell’angolo più incolto dell’orto interno, in cui si trovano piccole grotte e molti ulivi, Gesù di venne molto triste perché sentì vicina la sua ora. L’angoscia di quel momento si rispecchiava chiaramente sul suo volto. Allora Giovanni gli domandò perplesso: «Signore, come mai sei così triste, tu che ci hai sempre dato conforto e coraggio e ci hai consolato nei tempi peggiori?». Egli gli rispose: «La mia anima è triste fino a morire!» Guardandosi intorno vide avanzarsi nubi cariche d’immagini orrende: erano le tentazioni della vicina prova. La sua passione spirituale stava per avere inizio. Prima di ritirarsi nella solitudine orante, Gesù disse ai tre: «Mentre io vado a pregare nel luogo che ho scelto, resta te qui e vegliate: pregate per non cadere nella tentazione. Ricordate che lo spirito è pronto, ma la carne è debole!». Così dicendo, nella sua sconfinata angoscia interiore, Gesù scese per un piccolo sentiero ed entrò in una grotta profonda sei piedi. Vidi spaventose figure affollare minacciose la stretta caverna dove il Signore si era ritirato a pregare. Fu qui, ai piedi del monte degli Ulivi, che Adamo ed Eva piansero disperati il loro peccato. Vidi i nostri progenitori nello stesso luogo in cui Gesù depose la sua divinità nelle mani della santissima Trinità, affidando la sua innocente umanità alla giustizia di Dio. Con questo sublime atto di carità il Redentore si donava interamente al Padre quale vittima riparatrice dei nostri peccati. Tutte le colpe del mondo, commesse dall’uomo fin dal la sua prima caduta, gli apparvero a miriadi nella loro completa mostruosità. Nella sua sconfinata angoscia, Gesù supplicò il Padre celeste di perdonare i pensieri malvagi e le offese degli uomini, offrendogli in cambio la sua suprema espiazione. La grotta si era affollata di forme spaventose, immagini delle passioni, dei vizi e delle malvagità del genere umano. Vidi il Redentore abbandonarsi alla sua natura umana e prendere sopra di sé le nefandezze del mondo. Era su dato, stremato e angosciato di fronte agli innumerevoli peccati che Satana continuava a mostrargli come sue conquiste, mentre gli diceva: «Come?!… Anche questo vuoi prendere sopra di te e sopportarne la pena?». La sua umanità stava già per soccombere sotto l’enorme peso dei nostri peccati, quando un solco di luce chiarissima scese dal cielo, da oriente. Erano le schiere angeliche del paradiso inviate dal Padre celeste per infondere rinnovato vigore al suo Figlio divino. Gesù era al limite del le sofferenze spirituali, il peso delle colpe umane continuava a gravare immensamente su di lui e a causargli dolori atroci, mentre gli spiriti malvagi lo deridevano e i demoni gli facevano sentire la loro orribile voce. Infine, nonostante le spaventose visioni, rincuorato dagli angeli, Gesù misericordioso seppe accogliere tutto su di sé. Egli amò immensamente Dio e anche gli uomini, vittime delle loro stesse passioni. Il demonio ignorava che Gesù fosse il Figlio di Dio; credendolo soltanto un uomo giusto, lo tentò in tutti i modi come già aveva fatto nel deserto. Satana lasciò scorrere’dinanzi alla santa anima del Signore le sue opere di carità facendole apparire come colpe contro il mondo e contro Dio. Tentò di dimostrargli che esse non sarebbero valse a nulla e non erano state adatte a soddisfare la giustizia divina, anzi erano state causa di scandalo e di rovina per molti. Come un arguto fariseo, Satana gli rimproverò le mancanze e gli scandali che avevano suscitato i suoi apostoli e i discepoli, i disordini che essi avevano provocato abolendo le antiche usanze e, tra l’altro, incolpò Gesù di aver causato la strage degli innocenti e una vita di tribolazioni ai suoi genitori. Inoltre l’accusò di essersi rifiutato di operare diverse guarigioni e di non aver salvato Giovanni Battista, e così continuò a lungo. Gesù era rimasto perseverante nell’orazione, pur continuando a sudare con tremiti convulsi. Egli aveva lasciato prevalere la sua infinita misericordia permettendo al demonio di fargli soffrire le pene dei comuni mortali, in particolare dei giusti, i quali in punto di morte dubitano per fino delle loro sante opere. Atterrito dall’immensa ingratitudine degli uomini verso Dio, il Signore sentì piagare la sua anima e cadde in un violento dolore; allora si alzò e rivolse la sua pena al Padre: «Abbà, Padre mio, se puoi, allontana da me quest’amaro calice!». Ma subito soggiunse: «Sia fatta, però, non la mia, ma la tua volontà!». Sebbene la sua volontà e quella del Padre fossero strettamente congiunte, la natura umana di Gesù tremava di fronte alla morte. Lo vidi sfigurato in volto e le sue labbra erano livide. Barcollando, uscì dalla grotta e si diresse verso i tre apostoli che aveva lasciato fuori. Vedendoli addormentati, il Signore, estenuato e sopraffatto dalla tristezza, incespicò e cadde vicino a loro. Ancora circondato dalle tremende visioni, rialzandosi lentamente, Gesù disse: «Perché dormite? Non potete vegliare nemmeno un’ora? ». I tre, che frattanto si erano svegliati e si erano levati in fretta, vedendo il Signore trafelato e madido di sudore, sta vano per chiamare gli altri apostoli, ma Gesù fermò Pietro dicendo: «Non chiamare gli altri, non voglio che mi vedano in queste condizioni, dubiterebbero di me e cadrebbero in tentazione. Ma voi che avete veduto il Figlio dell’uomo nello splendore, potete pure vederlo nell’oscurità e nell’abbandono. Vegliate e pregate per non entrare in tentazione; lo spirito è sveglio, ma la carne è debole e inferma». Gesù non ignorava che anche i suoi amati apostoli erano caduti in preda all’angoscia e alla paura. Allora parlò loro con amorevole tristezza, mettendoli al corrente circa la dura lotta della natura umana contro la morte. Dopo un quarto d’ora fece di nuovo ritorno alla grotta. Erano quasi le undici di notte. I tre apostoli, afflitti, si chiedevano: «Cosa gli accade per essere così smarrito?». Si coprirono la testa e si misero a pregare. Frattanto, nella notte silenziosa di Gerusalemme, Ma ria santissima, Maria Maddalena, Maria figlia di Cleofa, Maria Salomè e Salomè avevano lasciato il cenacolo e si erano recate a casa di Maria, la madre di Marco. Tutte erano molto preoccupate per la sorte di Gesù, in modo particolare Maria santissima, la quale non dubitava più sul tradimento di Giuda. Con il cuore colmo d’amara tristezza, Gesù dunque era ritornato nella grotta. Si gettò col viso al suolo e, con le braccia distese, pregò il Padre in cielo. Allora gli angeli consolatori gli mostrarono l’immagine beata dei nostri progenitori nello stato di santa innocenza, ossia quando Dio dimorava ancora nel loro cuore, facendogli vedere come la loro caduta l’avesse deturpata. In tale contesto il Salvatore vide le indicibili sofferenze che la sua anima avrebbe dovuto superare per redimere l’uomo dal peccato d’origine, causa di tutti i patimenti. Gli angeli gli fecero notare che l’unica natura umana esente dal peccato era quella del Figlio di Dio, il quale per prendere sopra di sé il debito dell’intera umanità doveva superare la ripugnanza umana per la sofferenza e la morte. La sua santa anima vide le pene future che sarebbero gravate sugli apostoli, sui discepoli e sui santi martiri. La crescita della Chiesa tra ombre e luci, le eresie, gli scismi e tutte le forme di vanità e le colpe scandalose del clero. La tiepidezza e la malvagità di numerosi sedicenti cristiani. E ancora: la desolazione del regno di Dio sulla terra e le or rende raffigurazioni dell’ingratitudine e degli abusi degli uomini. Con il suo martirio egli avrebbe instaurato nel mondo il precetto salvifico dell’amore e sarebbe stato il Salvatore divino per quanti, nei secoli, avrebbero voluto sfuggire alle fiamme dell’inferno e avvicinarsi alla luce beatifica di Dio. L’umanità, corrotta dal peccato, che lui si preparava a riscattare col proprio tributo di sofferenze indicibili, si sarebbe potuta salvare solo alla sequela della sua imitazione. Era quindi necessario che egli bevesse quest’amaro calice per trasfigurarsi nella “verità”, nella “porta” e nella “via” al Padre. Vidi Gesù versare lacrime di sangue di fronte all’immane ingratitudine degli uomini; per quelle moltitudini che l’avrebbero odiato e si sarebbero rifiutate di portare la croce con lui. Egli pativa affinché la sua Chiesa fosse fondata sulla roccia, contro la quale le porte dell’inferno non avrebbero prevalso. Ecco perché il demonio per provocano gli aveva detto: «Vuoi davvero soffrire per questa massa d’ingrati?». Con forte dolore, vidi una fitta schiera di nemici del mio Sposo divino mossi dal fanatismo, dall’idolatria e dall’o dio contro la Chiesa: ciechi, paralitici, sordi, muti e persino fanciulli. Ciechi che non volevano vedere la verità, paralitici che con la verità non volevano camminare, muti per ché si rifiutavano di trasmetterla agli altri e sordi perché rifiutavano di ascoltare le ammonizioni di Dio. I fanciulli crescevano insensibili alle cose divine, istruiti dai genitori e dai maestri alla vana sapienza del mondo. Questi mi fecero maggior compassione perché erano stati oggetto del massimo amore di Gesù. Non potrei mai finire se volessi raccontare tutti gli oltraggi fatti a Gesù, dai sacerdoti indegni, nel santissimo Sacramento… Vidi gli angeli che seguivano con il dito le diverse immagini che essi stessi producevano, ma non udivo quel che dicevano; compresi solo che avevano molta compassione per le sofferenze del Signore. Le sofferenze interiori di Gesù, per tali orribili peccati e concupiscenze, furono così intense che il suo corpo versò fiotti di sangue. Nello stesso tempo vidi la Vergine Maria patire a sua volta l’agonia spirituale del Figlio. La Madre di Gesù si trovava ancora nel giardino di Maria di Marco e veniva con solata dalle pie donne, particolarmente dalla padrona di casa e dalla fedele Maria Maddalena. Perse più volte i sensi mentre sollevava le mani imploranti verso il Getsemani. Anche Gesù, con molto trasporto, contemplava nello spirito le pene della sua santa Madre. Fu una visione intensa e molto commovente. Gli Otto apostoli, sbigottiti e afflitti dal dubbio, teme vano per la sorte di Gesù e per la loro. Essi si chiedevano: «Che faremo, se il Maestro verrà arrestato e morirà? Abbiamo rinunciato a tutto per seguirlo e adesso siamo poveri ed esposti al ridicolo. Forse abbiamo sbagliato affidandoci completamente a lui». Fu così che gli apostoli entrarono in tentazione e si misero a cercare un nascondiglio. Anche i discepoli furono assaliti da un grande sconforto e andavano in giro per Gerusalemme con l’intento di apprendere qualche notizia in torno alla sorte del Redentore. Mancava poco alla mezzanotte. Gesù continuava l’intimo colloquio con il Padre celeste, allorché si aprì la terra sotto di lui e si trovò all’improvviso su un sentiero luminoso che scendeva nel limbo. Il Maestro divino scorse Adamo ed Eva, gli antichi patriarchi, i profeti e i giusti, i genitori di sua Madre, Giovanni Battista e una moltitudine di sacerdoti, di martiri, di beati e di santi della futura Chiesa. Tutti avevano il capo cinto dalle corone del santo trionfo, conseguite grazie alle sofferenze patite e alla perseverante lotta contro il male. Lo splendore ditale trionfo era legato unicamente ai meriti della sua prossima passione. Essi lo circondarono, esortandolo a compiere il sacrificio del suo sangue, sorgente di redenzione e di vita spirituale per tutti gli uomini di buona volontà. Questa visione rinvigorì Gesù che stava soggiacendo all’abbattimento umano. Dopo quelle confortanti scene, gli angeli gli mostrarono in tutti i particolari la passione che avrebbe subito tra poco. Quando il divino sofferente si vide inchiodato sulla croce completamente nudo per espiare l’impudicizia degli uomini, pregò fervorosamente il Padre di risparmiargli quell’immane umiliazione. Questa preghiera sarebbe stata esaudita per l’intervento di un uomo pietoso che l’avrebbe coperto. Dopo la visione del suo martirio sulla croce anche gli angeli lo abbandonarono. Egli cadde a terra sfinito come se fosse moribondo: il suo corpo era agonizzante e in preda a un tremito convulso. Vidi la grotta illuminata da tenui raggi lunari. All’improvviso un’altra luce illuminò la grotta: era un angelo inviato da Dio, indossava abiti sacerdotali e aveva nelle mani un piccolo calice. Senza discendere al suolo, la creatura celeste accostò il calice alle labbra di Gesù e, ciò fatto, disparve. Così il Signore aveva accettato il calice delle sue pene, dal quale ne trasse straordinarie energie. Restò ancora per alcuni minuti in atto di gratitudine verso il Padre celeste, poi si rialzò, si asciugò il volto con un sudario e fece ritorno dagli apostoli. Quando Gesù uscì dal la grotta, vidi la sua faccia pallidissima e spettrale: destava profonda compassione; notai però che il suo passo era diritto. La luce lunare e lo splendore delle stelle mi apparvero molto più naturali. Pietro, Giacomo e Giovanni, spossati dall’angoscia, era no caduti di nuovo nel torpore e si erano assopiti con la te sta coperta. Gesù, pieno di amarezza, li chiamò ancora una volta e disse loro che non era il momento di dormire ma di pregare, perché l’ora della verità era venuta. Li avvertì che egli si sarebbe consegnato ai suoi nemici senza opporre resistenza; chiese che assistessero sua Madre ed ebbe parole di compassione per il traditore. Ma Pietro gridò: «Noi ti difenderemo, vado a chiamare gli altri!». Gesù lo fermò e gli fece segno di guardare nella valle,dall’altra parte del torrente Cedron, dove una masnada di armati si avvicinava alla luce di una lanterna.

«Mentre parlava ancora, giunse una turba, e colui che era chiamato Giuda, uno dei Dodici, li precedeva e si avvicinò a Gesù per baciarlo» (Luca 22,47).

Dagli scritti della Beata Maria Alessandrina Maria da Costa

La mia anima vide Gesù scendere la scala e incamminarsi verso l’Orto.
Sul pianerottolo stava la mamma, avvolta in un manto, con gli occhi lacrimosi. Fissava Gesù che stava allontanandosi. Triste separazione!
Gesù ben sapeva che poche ore più tardi lei avrebbe voluto prenderlo tra le braccia, curargli le ferite. Ma non avrebbe potuto dargli neppure un lieve conforto con le sue dolci parole di madre.
Già un poco distanziato, Gesù si voltò a fissarla nuovamente, come per darle un altro addio. Ella fissava il suo Gesù dalla cima della scala. Gesù scomparve, ma rimasero sempre uniti. Vidi gli sguardi addolorati della mamma, quando ormai non scorgeva più il suo Gesù e vidi quanto il suo cuore santissimo lo seguiva, intuendo le sofferenze cui andava incontro.
Che unione di dolore e di amore!
Sento che tutto fugge lontano da me. E resterò completamente sola nell’Orto, nella più grande agonia! Fuggo verso la solitudine, per poter piangere in silenzio. Quante lacrime di sconfitta! Ad ogni passo che faccio, sono montagne che cadono su di me. Ad ogni passo, sento come se mi fermassi per riposare: l’anima è affaticata.
Tutto il cammino è spinoso (spiritualmente): grossi rami intrecciati di spine mi feriscono. Ansie e sete di amore si estendono a tutto il mondo. E la ricompensa per questo amore è fatta di spine tanto vive e penetranti, che mi avvolgono il cuore in un groviglio enorme.
Ma le fiamme d’amore che escono dal cuore superano le spine e si levano in alto. Fortificata da sforzi interiori, dagli sforzi dell’anima, cammino. La mia anima avanza verso l’Orto, trascinata dall’amore. Il cuore sta abbracciato strettamente a tutta la sofferenza.
Gesù, mansueto, con i suoi sguardi divini seguiva da lontano Giuda là in basso, di casa in casa, mentre concludeva la vendita. Al braccio portava la borsa con il denaro. Gesù tutto vedeva, ma nulla diceva ai suoi apostoli. Piangeva nascostamente. Li precedeva triste e silenzioso.
Io vidi che essi non si preoccupavano, né soffrivano per ciò che stava per accadere. Camminavano stanchi. Erano stanchi per le grandi meraviglie, per quanto avevano visto e udito da Gesù. Camminavano silenziosi, ma quanto diceva loro Gesù col suo silenzio! Come li amava, come parlava loro quel cuore divino, tanto oppresso dal dolore e dalla fatica! Appagati, seguivano il loro Maestro con tutta tranquillità.
Mentre Gesù camminava ansante, scorrevano gocce di sudore lungo tutto il suo corpo. Di tanto in tanto, si voltava a fissare la città, che restava là in fondo. I suoi sguardi divini scrutavano tutto, nonostante l’oscurità. E dal cuore gli usciva il dolce lamento: “Non bado alla tua ingratitudine: vado a morire per te”.
Gesù si inabissò nella sofferenza. Raccolse nel suo cuore tutta l’ingratitudine e la malvagità che vedeva. Quell’abisso di odio e di dolore accompagnò Gesù all’Orto. Gesù condusse me. Il cuore divino di Gesù si sentiva calpestato dall’umanità.
Vicino al suo, nella medesima sofferenza, vi era il cuore della mamma. Io sentivo come se il cuore di lei volasse verso Gesù, e la violenza del dolore trascinasse insieme al cuore tutte le vene del corpo.
Lungo il percorso mi attraversavano il cuore i sospiri e le lacrime della mamma. Non con gli occhi del corpo ma con quelli dell’anima la vedevo nell’atrio della sala della cena, con il santissimo volto tra le mani: la vedevo piangere di dolore. Sentivo come se io portassi la Madre addolorata dentro il mio cuore: come un tempo lei aveva portato Gesù nel suo grembo purissimo. Il mio cuore era il sacrario che la accolse con tutti i suoi dolori: così lei fu sacrario che accolse Gesù con tutta la sua vita, divina e umana. Con quale raccoglimento io la portavo!
Gesù stava per giungere all’Orto, e la mamma piangeva ancora. Gesù vedeva bene e sentiva le lacrime della sua mamma benedetta.
Trascinata da correnti d’amore, entrai nell’Orto. Vedevo i suoi ulivi. Vedevo il chiarore della luna, impallidito, e lo scintillio delle stelle, triste, come triste era il cuore divino di Gesù. Tutto appariva attraverso il fogliame, ma con mestizia tale che invitava solo al dolore, al silenzio, al raccoglimento.
Nell’oscurità degli ulivi, Gesù affrettò il passo: andò in un luogo appartato a pregare. Gli apostoli si addormentarono.
Vidi gli ulivi, quasi coprire Gesù con il loro fitto fogliame molto verde. Li vidi testimoni della sua sofferenza, come se di lui avessero compassione.
Nella solitudine, mi sentivo piegare le ginocchia per pregare. Orto di tristezza, Orto di agonia!
Un Orto mondiale, lastricato di dure pietre: una roccia irriducibile. Quante sofferenze vede la mia anima per sé e per il corpo! Nulla le resta occulto.
Già sento nell’anima il dolore del bacio ingrato che questo viso riceverà. Sento lo schiaffo, il viso sputacchiato, gli occhi bendati. Sento il rinnegamento di Pietro. Vedo il braciere e alcune persone attorno. Odo il gallo cantare. Dolore indicibile, paragonabile a quello del tremendo schiaffo.
Mi vedo schernita, di tribunale in tribunale, tra lo schiamazzo del popolo. Vedo l’anello di ferro che sta infisso nella colonna. Sento nel cuore i lacci che mi legheranno ad essa. Vedo i flagelli che mi colpiranno il corpo e che già mi colpiscono l’anima. Odo il sibilo delle corde e delle verghe. Vedo il rancore con cui sarò fustigata.
Già soffro come se fossi lacerata dai flagelli, coronata di spine e così condotta alla balconata di Pilato, con una canna in mano e una vecchia cappa sulle spalle. Io, nel massimo abbattimento, in mezzo a tanti aguzzini!
Vedo la folla, odo le sue esclamazioni: devo essere condannata a morte!
In direzione dell’Orto viene il Calvario. Vedo il percorso lungo il quale dovrò cadere per il peso della croce.
Mi sgomento per la visione della salita. Come dovrò affrontarla?
Oppressa dai maltrattamenti. Comincio a tremare, e tutto il suolo pare tremare con me.
Sento la crudeltà con la quale verrò spogliata: si staccano, con le vesti, brandelli di pelle e di carne! Sento come se spogliassero non solo il mio corpo, ma anche l’anima. Il dolore che la penetra è mortale.
Vedo i chiodi, il martello, la croce eretta!
Mi vedo crocifissa su di essa! Tutte le sofferenze mi sono anticipate. E non vado incontro a un Calvario di un solo giorno, ma di molti e molti secoli! Che cosa è mai il dolore! Cosa sono le sofferenze dell’Orto! Il mondo non le conosce.
Fu il cuore a ricevere tutti i maltrattamenti. Mi pareva che, disfatto in sangue, strisciasse sul suolo dell’Orto come se fosse un serpente velenoso, su cui tutti scaricavano le più grandi atrocità per togliergli la vita. Il cuore, però, amava più di quanto fosse ferito. Divenne come nube che, invece di assorbire acqua, assorbiva ogni dolore e martirio. Dolore e martirio che si trasformavano in sangue, sangue che avrebbe irrorato tutto il Calvario e, nel Calvario, l’umanità intera.
Ebbi la visione del sangue che stavo per versare e, allo stesso tempo, dei fiori che nascevano dal sangue.
Tra questi fiori si propagavano siepi di spine acutissime, per la maggior parte bagnate di sangue. Vedevo il frutto e vedevo l’ingratitudine, vedevo la gloria e vedevo l’iniquità. Il mio cuore era percosso dalla indifferenza generale per il mio soffrire.
Non vi sono parole capaci di descriverne l’agonia.
E la mamma, dov’era in quell’ora? La mia anima la vedeva e il cuore la sentiva tanto lontana, là nell’atrio, presso la scala. Fissava le strade che Gesù percorreva, i luoghi in cui si trovava. Il suo cuore, legato a quello di Gesù, presentiva quanto egli andava a soffrire, e con lui provava lo stesso dolore.
Con profondi sospiri mormorava: «Figlio mio, mio caro figlio, quanto tu soffri!». Copiose lacrime scorrevano sul suo volto. Passavano attraverso il mio cuore le lacrime innumerevoli da lei versate. Quanto soffriva per la separazione e la dipartita di Gesù
Gesù soffriva in grande agonia: soffriva per i patimenti che lo aspettavano e per le sofferenze della mamma. Egli vedeva dove ella stava, vedeva la distanza che li separava. Dolore senza l’uguale!
Il dolore mi lacerava il cuore e l’anima.
Vidi la grande sala in cui fu trattata la vendita di Gesù e dove Giuda, disperato, andò poi a scagliare la borsa con il prezzo del sangue innocente. Vidi lontano un albero al quale stava appeso Giuda. Da esso lo vidi cadere al suolo e scoppiare. Vidi spandersi sul terreno ciò che il corpo conteneva. La vendita di Gesù, la consegna, il bacio traditore lo portarono a quell’atto di disperazione. Tutto sentii nella mia anima.
Io mi sentivo l’unico albero del mondo che si trasformava in virgulti floridi, cui dava nuova vita: la Vita del Cielo.
Ma per questo dovevo affrontare tutto l’Orto, tutto il Calvario e, alla fine, morire sulla croce!
Non importava la morte. Ciò che importava era dare nuove vite. L’amore mi obbligava al dolore.
Ad occhi chiusi, labbra mute, mi consegnai a tutto. Andai verso la morte. In me sentivo che dovevo morire. E volevo morire. Senza la morte, non avrei portato a termine la missione che dovevo compiere sulla Terra.
Si lanciò su di me, con il suo peso, tutto quanto di brutale è nell’umanità. Mi schiacciò, mi tolse la vita.
Ma un’altra Vita, superiore, sublime, molto sublime, diede accesso nel cuore a tutta l’umanità e la avvolse in un incendio d’amore.
Fu tale l’irradiazione, tale la follia d’amore, che fece dimenticare la crudeltà umana.
Trionfò sulla morte e abbracciò tutta l’ingratitudine. Questo abbraccio fu eterno.
Gesù, con la sua luce, mi fece vedere e comprendere che questo era il suo abbraccio eterno alle anime: era per loro la sua vita eterna d’amore.
In questo momento culminante, sentii Gesù che fissava il mondo. Con profonda tristezza nel suo cuore, diceva: «Tanta ingratitudine verso tanto amore!».
Non erano bene accetti i suoi patimenti, il suo divin sangue, la sua morte!
« É nell’Orto che chiamai a me il mondo.»
Sopra il suolo dell’Orto si innalzò un mare immenso, le cui onde si scagliavano contro di me. Tutto attorno a me era mare: battevano contro di me le onde furiose, come se io fossi la banchina. Travolta da queste, caddi nella terra immonda e macchiata. Tutte le macchie erano mie. Tremavo di paura e mi pareva che la terra tremasse.
Ero coperta dalle iniquità che attiravano su di me la giustizia dell’Eterno Padre.
Quante lacrime di vergogna, nel vedermi rivestita di tutte le malvagità e nel trovarmi in tale stato alla presenza del Padre!
La vergogna di me stessa e il peso della giustizia divina obbligarono la terra ad aprirsi ed obbligarono me a nascondermi in essa. Mi inabissai in quel suolo duro. Ne rimasi avvolta come in un manto.
Io, tutta mondo, tutta corruzione e peccato, divenni responsabile davanti all’Eterno Padre. Ero solo io a pagargli questo ineguagliabile debito!
Per un mare di peccato e di corruzione, un mare di sangue e di purificazione.
Tutto il mio essere divenne Orto. Tutto il mio essere divenne sangue.
Fui posta su quel suolo duro per essere responsabile di tutti e scandalo per una gran parte: questi erano ribelli, martirizzatori, assassini.
Il mio grido al Cielo irruppe nella solitudine attraverso le tenebre della notte, tra il fogliame verdeggiante degli ulivi. Gridavo tanto, ma quel grido rimaneva come perduto in un bosco: neppure il Cielo mi dava ascolto.
Tanto si era allontanato da me il Cielo, che rimasi come se dalla terra non potessi fissare il firmamento.
Tutto era sparito. Soltanto l’Orto restò.
L’Eterno Padre si era occultato: pareva non esistere. Ma la sua giustizia divina scendeva come nere nubi a schiacciarmi.
Il suolo dell’Orto e la giustizia divina erano per me come pietre da mulino, che mi frantumavano in dolore e polvere. Io ero il chicco di grano macinato, trasformato in farina. E questa continuava ad essere macinata e rimacinata, fino a scomparire. Io ero il piccolo grappolo d’uva, premuto dal torchio. E, dopo aver dato tutto il succo, quel grappolo doveva sottostare ancora a nuovi torchi, i quali lo spremevano sempre, fino all’esaurimento.
La giustizia divina gravava su di me, ma si mitigava nei riguardi della Terra colpevole.
La notte oscura e serena, in cui non si muoveva una sola foglia, se non quando il dolore faceva tremare tutto, invitava alla solitudine e faceva sentire di più l’abbandono, persino quello dell’Eterno Padre.
Mentre gli apostoli dormivano, Gesù rimase per un po’ vicino a loro.
Nel momento in cui aveva più bisogno degli apostoli amici e compagni suoi per tanto tempo meno li aveva, minore era la loro preoccupazione: essi dormivano tranquilli, di buon sonno. E Gesù soffriva per questa loro assenza.
Con gli occhi fissi al Cielo, parlava rivolto al suo Eterno Padre. Il dolore giungeva fino a Dio. E il Suo abbandono si univa a quello dell’umanità.
Le stelle brillanti erano come lumi che, attraverso le fronde degli ulivi, venivano ad illuminare l’Orto oscurato. Ma per Gesù non brillavano, non davano luce: a lui non rispondeva l’Eterno Padre.
Però la sua anima parlava infinitamente, e il suo cuore infinitamente amava.
Mi sentii in piedi. Tenevo nelle mani tremule il calice, che non cessava mai di traboccare: vi cadeva dentro una sofferenza senza fine. Quel calice era come una coppa che riceve acqua da una fonte che non si secca mai.
Gesù, in me, prendeva il calice dell’amarezza e più volte lo offriva all’Eterno Padre.
Io ero Gesù, e Gesù era me: eravamo la medesima offerta al Cielo.
Nel mio cuore sentivo Gesù ripetere: «Padre, Padre, Padre! Allontana da me questo calice, se è possibile. Ma sia fatta la Tua volontà: voglio morire per dare la Vita».
In questo momento di accettazione, mentre chiedeva al Padre di allontanargli la sofferenza, ma allo stesso tempo voleva solo la Sua volontà, il volto di Gesù era bello, molto sereno, con gli occhi fissi al Cielo: li sentivo nella mia anima splendere come due soli.
In quella dolorosa agonia, con il cuore dicevo: «Gesù, se è possibile, allontana da me questa sofferenza!».
Ma subito mi gettavo verso di lui a braccia aperte, come fossi bruciata dalle fiamme, per tuffarmi in un mare di frescura e di soavità: «Non sia fatta la mia, ma la tua volontà. O mio Dio e mio Signore! Voglio consolarti e darti anime».
Vidi una strada interminabile, coperta di robusti grovigli di spine: tutte quelle spine dovevano ferirmi!Il mio buon Gesù mi fece comprendere e vedere nell’anima, con una luce molto chiara, che quelle spine avrebbero ferito attraverso i tempi fino a quando sarebbe esistito il mondo non il mio ma il suo divin cuore. Vorrei saper esprimere l’immensità di quella strada spinosa e il modo in cui Gesù veniva ferito. Ma non so. Seppi appena vedere e comprendere. E rimasi in quel dolore, in quell’angoscia spaventosa.
Vidi la cara mamma preoccupata, in amarezza, in angoscia. Dove si trovava il suo Gesù? Che cosa soffriva in quelle ore?
Egli pregava con il petto appoggiato ad un duro masso ed era circondato da inestricabili grovigli di spine, che si intrecciavano gli uni negli altri.
Tanto dolore causava meraviglia e ammirazione agli angeli che dal firmamento, come stelle, lo contemplavano.
Soltanto il Cielo comprendeva il dolore di Gesù.
Dopo il Cielo, era la mamma a comprenderlo e a viverlo.
Quanto si amavano Gesù e la mamma e come si vedevano l’uno attraverso l’altra! Tutta la Terra persino i discepoli ignorava il dolore di cuori tanto amanti!
Poiché l’agonia aumentava, mi buttai con il volto a terra. Sul suolo duro, in una oscurità spaventosa, forti tremori mi pervasero il corpo. Mi prostrai a terra in più luoghi. In uno più solitario andai di nuovo a pregare da sola.
Dopo, tornai a cercare la compagnia di quelli che amavo.
Che mancanza di preoccupazione, la loro!
Nella notte silenziosa, il calice della mia amarezza era offerto all’Eterno Padre.
E, incuranti, gli amati del mio cuore dormivano!
Su quel suolo nudo e duro tremai di spavento. Pareva che le mie sofferenze diventassero fuoco, formassero fiamme che mettevano in ebollizione il mio sangue. Il cuore dava scossoni tali da obbligare il corpo a rotolarsi al suolo e a sudare sangue.
Sentii che le mie vene si accavallavano come fili di un gomitolo. Con grande dolore si aprirono e versarono sangue che inzuppò la terra. Sentii come se avessi la mia veste, bagnata di sangue, incollata al corpo. Il sangue gocciolava mentre, stritolata, stendevo le braccia in atto di offerta.
Con Gesù pregai e sudai sangue. Con lui in me, sentivo il suo cuore aperto come se fosse il mio.
Aprivo il cuore a tutta l’umanità e con Gesù dicevo a tutti:«Io sono la Via, la Verità, la Vita».
Vedevo che dal suo divin cuore aperto, con sofferenza anticipata, Gesù dava da bere alle anime. Alcune si allontanavano da lui, con rifiuto e disprezzo: non volevano neppure toccare il sangue di Gesù. Altre ne bevevano con freddezza e indifferenza, come fosse cosa da poco. Altre ancora venivano a berlo con più amore. Ne venivano certe che bevevano con un amore folle e non volevano cessare di bere. Ne venne poi una che oltrepassò tutte e, con una sete insaziabile, bevve, bevve. Entrò in lui attraverso la piaga del cuore divino, si perdette in lui: non ricomparve più.
Il sangue irrigò la Terra… rugiada feconda, rugiada d’amore. Doveva essere, nel corso dei tempi, rugiada di vita e di salvezza per le anime.
Sentivo che il sangue versato cancellava tutte le macchie del peccato.
Ma, nello stesso tempo, sentivo e intravedevo da lontano, molto lontano, nuove macchie, nuovi vizi: non si voleva approfittare di quel mare di sangue, di quel mare di purificazione.
O Passione di dolore e di amore di Gesù, che non sei conosciuta!
Mi vedevo lavare il mondo con il sangue. E l’albero della croce fioriva dalla mia parte.
Ma subito una sconfitta, la sconfitta causata dal male, rovinava tutto, fino al tronco. Le mie vene erano le radici di questo tronco e, perché non morisse e continuasse a dare la vita, io dovevo seguitare a soffrire e a dare il mio sangue.
La sconfitta, la distruzione che la mia anima vide, mi portò all’agonia. Istintivamente in me ripetevo: «L’anima mia è triste fino a morirne».
Alcuni momenti dopo, mi sentii uscita dal sepolcro: la pietra che lo copriva era rimasta da un lato. Ero uscita gloriosa a trionfare su tutte le sofferenze. Questa visione di gloria, avuta anticipatamente, non mi diede alcun sollievo.
Nelle mie mani tenevo il calice, che offrivo all’Eterno Padre. E nuovi grovigli di spine vennero ad avvolgere il calice. Queste spine emettevano una luce che lo illuminava e lo rendeva splendente. Ma tutta la luce e lo splendore salivano al Cielo. All’anima restava soltanto la notte oscura, silenziosa, triste. Prostrata a terra, in un angolo isolato…
Venne un conforto dal Cielo. Non vidi nessuno, ma sentii che dal Cielo discendeva qualcuno venuto a fortificare la mia anima, a sollevarmi dalla nuda terra, a lenire la mia agonia. Ma questa doveva riprendere subito. Sentii che a portare sollievo alla mia anima era stato un inviato dall’Eterno Padre. Ma il Suo abbandono continuò. Il Calvario con la croce non scomparve. Il mondo, con la sua malvagità, continuò ad aggravare le sofferenze. Mi sentii però più forte per affrontare ciò che mi aspettava.
Mentre la mia anima sgomenta lottava in quel martirio, sentii come se un canale discendesse dal Cielo e mi attirasse dentro di sé. Quel canale aveva la Vita divina. E tutta la mia vita terrena, tutto il mio essere di miserie fu trapassato da essa, come da raggi di sole splendenti e penetranti. Che impasto! La Terra con il Cielo!
Là nell’Orto, con Gesù agonizzante, vidi gli apostoli riuniti a dormire senza preoccupazione alcuna.
Gli apostoli dormivano. Giuda si avvicinava.
Gesù, con dolcezza e mansuetudine, chiamò gli apostoli per il grande avvenimento: la cattura.
Lo udii esclamare: «Alzatevi, venite! è giunta l’ora». Sorpresi dalla voce di Gesù, essi trasalirono.
Era necessario che venissero a vedere tanto grande amore e tanto grande ingratitudine, l’uno di fronte all’altra.
Odo il trambusto della gente, il tintinnio delle armi. Vedo il folto gruppo dei soldati e, con loro, un maggior numero di uomini che si avvicinano a Gesù: portano bastoni nelle mani alzate, portano il furore dell’inferno.
Sfinito, con le vesti intrise di sangue, in una tristezza profonda e quasi senza vita, Gesù attende.
Vede avvicinarsi la soldataglia e il traditore. Sento che attende il bacio di Giuda con la più grande ripugnanza.
Odo una voce che, con tutta dolcezza, dice a colui che si avvicina: «Amico mio, per che cosa vieni? È con un bacio che consegni il tuo Signore? Che male ti ho fatto io, se non amarti? È così che corrispondi?».
E subito Giuda si fa avanti e bacia Gesù.
Ricevo sul mio viso quel bacio. Bacio tanto crudele! Eppure ottenne ancora dalle labbra di Gesù, traboccante di bontà, la dolce parola di “amico”. O dolcezza, o amore del cuore divino!
Nello stesso momento, vedo come un pugnale molto aguzzo che si configge nel cuore divino di Gesù. Con questo pugnale conficcato, Egli va verso la cattura, in mezzo ai maltrattamenti. Non gli sarà più tolto.
Da quella grande ferita escono raggi luminosi che diffondono amore.
Sentii per molto tempo che quel bacio, quella ingratitudine, quel tradimento, si sarebbero ripetuti lungo tutti i tempi.
Odo la voce di Gesù: «Chi cercate? Sono io, eccomi».
Vedo i soldati cadere a terra. Odo di nuovo la sua voce: «Vi ho già detto che sono io. Se cercate me, qui mi avete». I soldati avanzano per catturarlo.
Pietro sguaina la spada e taglia un orecchio ad uno di loro. Vedo l’incrociarsi delle spade, vedo le armi dei soldati. Che grande combattimento se Gesù, con i suoi sguardi divini e con la mano alzata, non sedasse e calmasse tutto!
Gesù riattacca l’orecchio, che ha preso nelle sue santissime mani. Al vedere questo, Pietro fugge a confondersi tra la folla.
Gesù opera il miracolo e non rimane traccia di ferita!Con quale delicata bontà agisce il Signore!
Ha rimediato con tanta dolcezza al male fatto da Pietro e con la stessa dolcezza si consegna ai malfattori, si lascia legare. Potessi mostrare la tenerezza, la mansuetudine e l’amore di Gesù verso tutti coloro che lo offendono!Non vi è nulla sulla Terra che si possa paragonare a lui.

 

Tratto dal libro: “Sofferenza amata” La Passione di Gesù in Alexandrina MimepDocete 1999

L’ ORA SANTA

INSEGNATA DA GESU’ A SANTA MARGHERITA MARIA ALACOQUE

«Tutte le notti dal giovedì al venerdì — le disse — ti farò partecipare alla stessa tristezza mortale che volli provare nell’Orto degli Ulivi: questa tristezza ti condurrà senza che tu lo possa comprendere, ad una specie d’agonia più dura a sopportarsi della morte.  E per unirti a me, nell’umile preghiera che presenterai allora al Padre mio, in mezzo a tutte le angosce, ti alzerai tra le ventitré e mezzanotte, per prostrarti per un’ora con me, con la faccia a terra, sia per calmare la collera divina chiedendo misericordia per i peccatori, sia per addolcire in certo modo l’abbandono dei miei apostoli, che mi obbligò a rimproverarli di non aver potuto vegliare un’ora con me; durante quest’ora tu farai quello che io t’insegnerò». In altro luogo la Santa soggiunge: «Egli mi disse in quel tempo che tutte le notti, dal giovedì al venerdì, avrei dovuto alzarmi nell’ora indicatami per dire cinque Pater e cinque Ave Maria, prostrata a terra, con cinque atti di adorazione, che Egli mi aveva insegnato, per rendergli omaggio nell’estrema angoscia che Gesù aveva sofferto nella notte della sua Passione».

L’ESERCIZIO DELL’ORA SANTA
CON PADRE PIO DA PIETRELCINA

Divinissimo Spirito, illuminami ed infiammami nella meditazione della Passione di Gesù, aiutami a penetrare questo mistero di infinito amore e dolore di un Dio, che, rivestito della nostra umanità, soffre, agonizza e muore per amore della creatura!

… L’Eterno, l’Immortale che si abbassa, si umilia fino a subire il più immenso martirio, l’ignominiosa morte di Croce fra insulti, disprezzi ed obbrobri per salvare la creatura che l’offese e si ravvolse nel fango della colpa. L’uomo gioisce nella colpa ed il suo Dio per il peccato s’attrista, pena, suda Sangue, fra terribili agonie di spirito.

No, non potrò io addentrarmi in questo pelago sconfinato d’amore e di dolore se con la Tua grazia non mi sostieni. Ch’io possa penetrare nell’intimo del Cuore di Gesù per leggervi l’essenza delle Sue amarezze che Lo ridusse a morte lì nell’Orto; ch’io possa confortarlo col mio amore nell’abbandono del Padre e dei suoi. Ch’io possa unirmi a Lui per espiare con Lui.

Addolorata Mamma Maria, uniscimi con Te, per seguire Gesù e condividere le Sue pene ed i Tuoi dolori…

Angelo mio Custode, custodisci le mie facoltà e tienile raccolte in Gesù Penante, affinché non vaghino lontano da Lui. Così sia.

 

I° quarto d’Ora

Giunto al termine della sua vita terrena il Divin Redentore, dopo averci lasciato tutto Se stesso in cibo e bevanda nel Sacramento d’Amore e nutriti i Suoi Apostoli delle Sue Carni Immacolate, si avvia con i Suoi all’Orto degli Ulivi, luogo noto ai discepoli ed allo stesso Giuda.
Lungo il tragitto, che mena dal Cenacolo all’Orto, Gesù ammaestra i Suoi discepoli; li prepara alla prossima separazione, all’imminente Sua Passione e li prepara a subire per amor suo calunnie, persecuzioni e la stessa morte; a ricopiare in loro Lui, Modello Divino.


« Io sarò con voi».
E voi non vi turbate, o discepoli, perché la Divina promessa non verrà meno; la prova l’avrete nella presente ora solenne.
Egli è là per dare inizio alla Sua dolorosa Passione; più che pensare a Sé, è tutto premura per voi.
O quale immensità d’amore racchiude quel Cuore!
…Il Suo Volto è soffuso di mestizia e di amore insieme; le Sue parole partono dall’intimo del Suo Cuore. Egli parla con profusione di affetti, incoraggia, conforta e promette confortando, spiega i più profondi misteri della Sua Passione.
Sempre, o Gesù, mi ha toccato il cuore questo Tuo viaggio dal Cenacolo all’Orto, per l’espansione di un amore che si profonde e si fonde con gli amanti suoi per l’espansione di un amore che si avvia ad immolarsi per gli altri, per riscattarli dalla schiavitù. Tu l’hai insegnato che non vi è maggior prova d’amore che dare la propria vita per gli amici, e Tu sei ora per suggellare questa prova d’amore con l’immolazione della Tua vita.
Chi non rimane compreso da sì generosa oblazione?Appressatosi il Divino Maestro all’Orto licenzia i discepoli, prendendone solo tre, Pietro, Giacomo e Giovanni, per renderli testimoni delle Sue pene. Proprio quei tre che Lo videro trasfigurato sul Tabor tra Mosé ed Elia e Lo confessarono Dio, avrebbero ora la forza di riconoscerlo UomoDio tra pene e tristezze mortali?


Entrato nell’Orto dice loro: «restate qui, vegliate e pregate affinché non entriate in tentazione»;
state all’erta, par che dica loro, perché il nemico non dorme: premunitevi contro di lui con l’arma della preghiera, affinché non possiate essere coinvolti ed indotti nel peccato.
E’ l’ora delle tenebre.
Ciò raccomandato, si allontana da loro quanto un tiro di pietra, e si prostra a terra.
Egli è estremamente triste: l’anima Sua è in preda ad indescrivibile amarezza.
La notte è alta e limpida, la luna splende nel cielo, lasciando nella penombra l’Orto, sembra che proietti sulla terra sinistri bagliori, precursori di cose gravi e sinistri avvenimenti, che fanno rabbrividire e gelare il sangue nelle vene, sembra come tinta di sangue; un vento, come foriero di prossima tempesta, agita gli ulivi, unito a quel fruscio di foglie penetra nelle ossa come annunzio di morte, scendendo fino nell’anima, riempiendola di mortale mestizia.
Notte la più orrenda che non ne sorgerà mai più una eguale!
… Che contrasto, o Gesù!
Come fu bella la notte del Tuo Natale quando gli Angeli tripudianti annunziarono la pace, cantando gloria; ed ora parmi che mesti Ti fanno corona tenendosi a rispettosa distanza, come rispettando la suprema angoscia del Tuo spirito.
E’ questo il luogo ove giunse Gesù per pregare.
Egli priva l’umanità sacrosanta della forza che le conferiva la Divinità, sottomettendola a tristezza indefinibile, a debolezza estrema, a mestizia ed abbandoni, a mortale angoscia.
Lo Spirito Suo nuota in esse come mare sconfinato, che par che ad ogni istante è per sommergersi. Rappresenta al Suo Spirito tutto il martirio della Sua imminente Passione, che come un torrente straripante si riversa nel Suo Cuore e lo martoria, l’opprime e lo dilania.
Vede Egli per prima Giuda, discepolo suo, tanto da Lui amato, che Lo vende per sole poche monete, ch’è per appressarsi all’Orto per tradirlo e consegnarlo in mano dei nemici.
Lui!… L’amico, il discepolo che poc’anzi aveva satollato delle Sue Carni… prostrato dinanzi a lui gli aveva lavati i piedi e stretti al Suo Cuore, li aveva con fraterna tenerezza baciati, come se a forza di amore volesse distoglierlo dall’empio e sacrilego proposito o almeno, che commesso l’insano delitto, rientrato in sé, rammentandosi delle tante prove d’amore, si fosse pentito e salvato.
Ma no, egli si perde e Gesù piange la sua volontaria perdita.
Si vede legato, trascinato dai suoi nemici per le vie di Gerusalemme, per quelle stesse vie ove pochi giorni innanzi era passato trionfalmente acclamato quale Messia…
Si vede dinanzi ai Pontefici percosso, dichiarato da essi reo di morte.
Lui, l’autore della vita, si vede ancora condotto da un tribunale all’altro in presenza di giudici che Lo condannano: vede il popolo Suo, da Lui tanto amato e beneficato, che L’insulta, Lo maltratta e con urli infernali, con fischi, con schiamazzi ne chiede la morte e la morte di Croce.
Ne ascolta le ingiuste accuse, vedesi condannato ai flagelli più spietati: si vede coronato di spine, deriso, salutato qual re da burla, schiaffeggiato…
Si vede infine condannato alla ignominiosa morte di Croce e salire il Calvario: sfinito sotto il peso di essa, cadere più volte a terra esangue…
Si vede, giunto al Calvario, denudato, disteso sulla Croce; crocefisso spietatamente, elevato su di essa, a vista di tutti; appeso a tre chiodi che Gli squarciano e Gli dislogano le vene ed ossa e carne… Oh! Dio, che lunga agonia di tre ore che dovrà straziarlo fra gli insulti di tutto un popolo folle e spietato.
Vede la Sua gola e le Sue viscere bruciarsi dall’ardente sete e vede a questo straziante martirio aggiungersi l’abbeveramento di aceto e fiele.
Vede l’abbandono del Padre, la desolazione della Madre appié della Croce.
In ultimo la morte ignominiosa, fra due ladri, uno che Lo riconosce e Lo confessa quale Dio e si salva, l’altro che Lo bestemmia e l’insulta e muore disperato.
Vede Longino che si appressa e per sommo insulto e disprezzo, Gli squarcia il costato e… come tutti i mortali ancora subisce l’umiliazione del Sepolcro.
Tutto, tutto è schierato innanzi a Lui a tormentarlo e Gesù si atterrisce; e questo terrore si impossessa del Suo Cuore Divino e Lo attanaglia dilaniandolo.
Egli trema come preso da febbre altissima, lo spavento si impossessa ancora di Lui ed il Suo Spirito languisce in mortale tristezza.
Egli l’Agnello innocente, solo, abbandonato in mano dei lupi, senza alcuna difesa… Egli, il Figlio di Dio… L’Agnello votatosi spontaneamente al sacrificio per la gloria di quello stesso Padre che L’abbandona al furore delle potestà infernali, per la Redenzione del genere umano; di quelli stessi suoi discepoli, che vilmente Lo abbandonano e fuggono da Lui come l’essere più pericoloso.
Egli, il Verbo eterno di Dio, ridotto alla favola dei suoi nemici…
Ma Egli si ritrae?
… No, sin dal principio tutto generosamente abbraccia senza riserva.
Com’è, e da che questo terrore?
… Questo mortale spavento?
… Ah! Egli ha esposto l’umanità Sua come bersaglio a ricevere su di Sé tutti i colpi della divina giustizia lesa per il peccato.
Egli sente al vivo nel nudo spirito tutto ciò che deve soffrire, ogni singola colpa che deve espiare con singola pena e si abbatte perché ha lasciata l’umanità Sua in preda a debolezza, a terrori, a spaventi. Sembra agli estremi…
Egli è prostrato col volto sulla terra dinanzi alla Maestà del Padre Suo.
Quella divina Faccia, che tiene estasiati in eterna ammirazione di Sua Bellezza gli Angeli ed i Santi del cielo, e sulla terra tutta sfigurata.
Mio Dio! Mio Gesù!
Non sei Tu il Dio del cielo e della terra, eguale in tutto al Padre Tuo, che Ti umilii sino al punto di perder quasi le sembianze dell’uomo?…!
Ah… sì, lo comprendo, è per insegnare a me superbo che, per trattare col Cielo, devo inabissarmi nel centro della terra.
E’ per riparare ed espiare la mia alterigia, che Tu Ti profondi così, dinanzi al Padre Tuo; è per piegare il Suo pietoso sguardo sulla umanità, ritrattolo per la sua ribellione a Lui.
E per la Tua umiliazione Egli perdona alla creatura superba.
E’ per pacificare la terra col Cielo, che Tu ti abbassi su di essa, come per darle il bacio di pace.
O Gesù, che sii sempre e da tutti benedetto e ringraziato per tanti Tuoi abbassamenti ed umiliazioni con cui ci hai donato Dio ed a Lui ci hai unito in un amplesso di santo amore.

 

II° quarto d’Ora

Gesù si alza e volge al Cielo lo sguardo supplichevole e mesto; eleva le Sue braccia e prega.
Mio Dio, di quale pallore mortale è soffuso quel volto!
… Egli prega quel Padre che pare volgere altrove lo sguardo e pronto soltanto a colpirlo colla sua vindice spada ed in tutto il Suo furore qual Dio offeso.
Egli prega con tutta la fiducia di Figlio, ma conosce appieno l’Ufficio che Egli sostiene.
Riconosce essere, il solo per tutti, l’oltraggiatore della Divina Maestà.
Riconosce essere il solo che con il sacrificio della sua vita può soddisfare la Divina Giustizia e riconciliare la creatura con il Creatore.
Egli lo vuole ed efficacemente lo vuole. Ma la natura è atterrita in vista della sua amara Passione.
Tutto vuol respingere, ma lo Spirito è pronto alla immolazione e ne sostiene la lotta con tutte le sue forze. Si sente abbattuto, ma Egli lotta accanitamente.
Mio Gesù, come potremo noi attingere forza da Te, se Ti vediamo così sfinito ed abbattuto?
Comprendo sì: tutte le nostre debolezze hai prese per Te. E’ per conferire a noi la Tua forza che Ti abbatti così. E’ per insegnare a noi che dobbiamo solo in Te la nostra fiducia nelle lotte della vita, anche quando ci sembra che il Cielo sia chiuso per noi.
Gesù estremamente oppresso grida al Padre: «Se è possibile passi da Me questo Calice».
E’ il grido della natura che, oppressa, fiduciosa ricorre all’aiuto del Cielo.
Pur sapendo che non sarà esaudito in ciò che domanda, perché Egli così vuole, Egli prega.
Mio Gesù, qual ne è la ragione perché Tu chiedi quello che non vuoi Ti sia concesso?
Il dolore e l’amore.
Ecco il grande segreto. Il dolore che Ti opprime Ti porta a chiedere aiuto e conforto, ma l’amore per soddisfare la giustizia divina e ridarci a Dio, Ti porta a gridare: «Non la Mia, ma la Tua volontà sia fatta».
A questa preghiera il Cielo si mantiene duro come di bronzo.
Il Suo Cuore esulcerato ha bisogno di conforto: l’abbandono in cui versa, la lotta che da solo sostiene pare che Lo facciano andare in cerca di chi Lo conforti.
Lentamente dunque si alza da terra e, quasi barcollante, muove il passo.
Si avvia verso i discepoli in cerca di conforto.
Essi, vissuti per tanto tempo con Lui, essi, i suoi confidenti, potranno comprendere il Suo interno affanno ed a quale cimento va incontro per condurlo a fine.
Essi sapranno trovare per Lui un po’ di conforto.
Ma! O delusione!
… Li trova immersi in profondo sonno, sentesi di più di essere solo in quella sconfinata solitudine del Suo Spirito. Si avvicina loro, li chiama e, dolcemente volto a Pietro, dice: « Simone, tu dormi?… ». Tu che protestavi volermi seguire fino alla morte e dare la vita per Me, tu dormi?
E rivolto agli altri aggiunge: «Così dunque non avete potuto vegliare una sola ora con Me! …».
Lamento d’Agnello votato all’immolazione, di un cuore che soffre ferito intensamente… solo, senza conforto…
Ma si ridesta come da un abbattimento e, come dimentico di Sé e di ciò che soffre, tutto premura e carità per essi, soggiunge: «Vegliate e pregate affinché non entriate nella tentazione».
Par che voglia dire: Se così presto vi siete dimenticati di Me, che lotto e soffro, vegliate e pregate almeno per voi.
Ma essi aggravati dal sonno, appena percepiscono la voce di Gesù, appena Lo distinguono come un’ombra, tanto che non rilevano il Suo Volto sfigurato dall’interna ambascia che Lo martoria…
O Gesù, quante anime generose ferite da questo Tuo lamento Ti hanno fatto compagnia lì nell’Orto, partecipando alle Tue amarezze ed alle Tue angoscie mortali…
Quanti cuori nel volgere dei secoli, hanno risposto generosamente al Tuo invito…
Ti sia di conforto dunque, in questa ora suprema, questa schiera di anime che meglio dei discepoli condividendo con Te l’ambascia del Tuo Cuore coopereranno con Te alla propria ed altrui salute.
E fa’ che anch’io entri nel numero di costoro per poterti prestare anch’io un qualche sollievo.

 

III° quarto d’Ora

Gesù è tornato al Suo luogo di preghiera ed un altro quadro più orrendo del primo Gli si presenta.
Tutti i nostri peccati con tutte le loro brutture si schierano dinanzi a Lui in tutti i loro particolari.
Vede tutta la malvagità e la malizia delle creature nel commetterli.
Conosce Egli fino a qual punto questi peccati ledono ed oltraggiano la Maestà di Dio.
Vede tutte le nefandezze, le immodestie, le bestemmie che si elevano dalle labbra delle creature accompagnate dalla malizia dei loro cuori, di quei cuori e di quelle labbra create per sciogliere al Creatore soltanto inni di lode e di benedizione.
Vede i sacrilegi di cui si imbrattano, e sacerdoti e fedeli, noncuranti di quei Sacramenti istituiti per la nostra salvezza e come mezzi necessari di comunicazione di grazie divine, fatti mezzi invece di peccati e di condanna per le anime.
E di tutto questo immondo ammasso di corruttela umana Egli deve rivestirsi e presentarsi dinanzi alla Santità del Padre Suo, per espiarli tutti con singole pene, per rendergli tutta quella gloria che Gli hanno tolta, per mondare quella cloaca umana in cui con indifferenza sprezzante si ravvolge.
E tutto questo non Lo fa indietreggiare.
Come un mare fluttante questo ammasso Lo inonda, Lo investe, L’opprime.
Eccolo dinanzi al Padre Suo affrontare tutto lo sdegno della Sua divina giustizia.
Egli l’essenza della purezza, la santità per natura a contatto col peccato!
… Anzi come divenuto peccatore Lui stesso.
Chi può comprendere il disgusto che ne prova nell’intimo del Suo Spirito?
L’orrore che ne sente?
La nausea, il disprezzo che ne risente?
Ed avendoli presi tutti sul Suo dorso, nessuno eccettuato, questa immensa mole Lo schiaccia, L’opprime, Lo abbatte, Lo prostra: ed Egli sfinito geme sotto il peso della giustizia divina, dinanzi al Padre Suo che volge la faccia pronto a colpirLo, quale maledetto, in tutto il suo furore.
Vorrebbe scuotere da Sé questa immensa mole che Lo schiaccia.
Vorrebbe scaricarsi di questo peso orrendo che lo fa rabbrividire…
La sua purezza stessa Lo respinge…
Lo sguardo medesimo irritato del Padre, che Lo abbandona in queste acque limacciose e putrefatte di colpe onde Lo vede rivestito: tutto concorre nel Suo Spirito a sospingerlo, a ritirarsi dall’amara passione. La natura lotta con se stessa.
Tutto consiglia a scaricarsi di queste nefandezze, declinandone la mediazione.
Ma il riflesso della giustizia non suffragata, il peccatore non riconciliato, predomina nel Suo Cuore pieno d’amore.
Queste due forze, questi due amori, l’uno più santo dell’altro se ne disputano nel Cuore del Salvatore la vittoria.
Chi prevarrà?
Non v’è dubbio che Egli vuol dare la vittoria alla giustizia offesa.
Questa primeggia su tutto e questa vuole che trionfi. Ma quale figura Egli deve rappresentare?
Di uomo lordo di tutte le brutture dell’umanità.
Lui, la santità sostanziale, vedersi bruttato, sia pure in semplice apparenza, di peccato?
Questo no. Questo Lo terrorizza, questo Lo spaventa, questo Lo atterrisce.
E come per trovare la soluzione del duro compito, ricorre alla preghiera.
Prostrato dinanzi alla Maestà del Padre Suo: «Padre, Gli dice, passi da Me questo calice».
Come se avesse voluto dire: Padre mio, voglio la Tua gloria; voglio che la Tua giustizia sia pienamente soddisfatta.
Voglio che l’umana famiglia sia con Te riconciliata.
Io che sono la stessa Tua santità, vedermi bruttato di peccato, ah! questo no.
Passi dunque, passi da Me questo calice, e Tu, cui tutto è possibile, trova nei Tuoi infiniti tesori della Tua Sapienza altro mezzo.
Ma se questo non lo vuoi: « Non la Mia, ma la Tua Volontà sia fatta!».

 

IV° quarto d’Ora

La preghiera del Salvatore anche questa volta rimane senza il suo effetto.
Egli si sente morire: a stento si leva dalla preghiera per andare in cerca di conforto, si sente debilitato di forze e barcollante ed ansante muove i Suoi passi verso i Suoi discepoli.
Li trova di nuovo addormentati.
Per questo Egli si rattrista più intensamente e si contenta soltanto di svegliarli.
Quale confusione dovette assalirli!
Gesù però nulla dice loro questa volta, solo parmi vederlo immensamente più triste.
Egli tiene tutta per Sé l’amarezza ed il dolore di quell’abbandono, di quella indifferenza e pare che col Suo silenzio compatisca la debolezza dei suoi.
O Gesù, quanta pena io leggo nel Tuo Cuore già pieno ed esuberante di ambascia.
Ti veggo ritrarti dai tuoi discepoli si accorato.
Ah! se io potessi sollevarti e darti un po’ di conforto… Ma io non sapendo far altro piango accanto a Te…
Le lagrime del mio amore per Te e del mio dolore per i miei peccati, conscie di tanto Tuo penare, si uniscano con le Tue e possano esse salire al trono del Padre e piegarlo a misericordia verso di Te e di tante anime che dormono ancora il sonno del peccato e della morte.
Gesù ritorna ancora al suo luogo di preghiera afflitto, accasciato, e cade a terra, più che prostrarsi; un’angoscia mortale Lo strazia ed Egli più intensamente prega.
Il Padre tiene volto altrove lo sguardo, come se fosse l’uomo il più abbietto.
Parmi di sentire tutti i lamenti del Salvatore.
Oh! almeno l’uomo, per il quale Io agonizzo e per il quale Io sono pronto a tutto abbracciare, mi fosse grato, mi ricompensasse con amore tanto mio penare per lui.
Valutasse la preziosità del prezzo col quale Io mi accingo a ricomprarlo dalla morte del peccato per dargli la vera vita dei Figli di Dio!
Ah… L’amore che dilania il mio Cuore, più che i carnefici dilanieranno le mie Carni!
… Oh! no, Egli vede l’uomo, che non sa, perché non vuole, trarne profitto.
Bestemmierà ancora questo Sangue divino e più irreparabile ed inescusabile ne diverrà la sua perdita. Solo pochi ne trarranno profitto ed i più corrono egualmente la via della perdizione!
E sotto l’estrema ambascia del Suo Cuore lacerato va ripetendo: «
Quae utilitas in Sanguine Meo?»…
E ricade affranto.
Ma ancora questi pochi spingono il Suo Cuore a restare sul luogo del combattimento, ad affrontare tutte le pene ed i dolori della Sua passione e morte, per conquistare loro la palma della vittoria!
… Egli non ha più dove rivolgersi per trovar conforto, il Cielo è chiuso per Lui!
… L’uomo che pur giace morente, sotto il cumulo delle sue colpe, indifferente, ingrato, disconosce l’amore Suo per lui!
… Egli versa in mortale agonia, l’amore Lo dilania e Lo martoria!
… Il Suo Volto è tinto di mortale pallore, i suoi occhi languidi, una tristezza indefinibile Lo invade tutto. «La mia anima è triste fino a morirne».
Con quali accenti di smisurato dolore pare che io ascolti dal Tuo labbro, o Gesù, queste Tue parole!
… Esse svelano una tristezza profonda, che parte dall’intimo del Tuo spirito!
Il timore Lo scuote, Lo fa tremare tutto, un’ambascia di morte L’opprime!
… La nausea del puzzo di tante colpe Lo rivolta tutto, una noia intensa invade l’anima Sua!
… «L’anima mia è triste a morirne».
O Gesù, mio mallevadore generoso, come mi scendono direttamente nel cuore queste Tue parole! Oh, se potessi io sollevarti e sostenerti!
O Gesù, la contemplazione di tanti Tuoi martirii mi fa piangere accanto a Te.
Gesù, Gesù!
Oh, … Egli più non ascolta il mio grido! L’amore lo rende carnefice di se stesso.
Egli è svenuto a terra, dal Suo Volto, dalla Sua Persona tutta, scorre sangue fino a bagnare la terra. Dapprima io Lo vedo a grandi gocce emettere dai Suoi pori, poi riunendosi scorrere dalla Sua persona come rivoletti a terra.
Non più col Volto a terra Egli è, ma con le mani giunte distese, le braccia rilasciate lunghe a terra, gettato sul fianco sinistro, tutto disteso, in mortale abbandono, col Volto e la persona del Suo Sangue, il Volto ne è tutto intriso, gli occhi semichiusi e quasi spenti, la bocca semiaperta, il petto, prima ansante, ora affievolito, or quasi del tutto cessato di battere.
Gesù, adorato Gesù, ch’io muoia accanto a Te!
Gesù, il mio silenzio contemplativo, accanto a Te morente, è più eloquente…
Gesù, le Tue pene penetrano nel mio cuore ed io mi abbandono accanto a Te, le lagrime si disseccano sul mio ciglio ed io gemo con Te, per la causa che a tale agonia Ti ridusse e per l’intenso infinito Tuo amore, che a tanto Ti sottopose!
Sangue divino, spontaneamente Tu stilli dal Cuore amante del mio Gesù, la piena del dolore, l’amarezza estrema, la lotta accanita, ch’Egli sostiene, Ti sospinge da quel Cuore trasudando dai Suoi pori, scorri a lavare la terra!… lascia che io Ti raccolga, Sangue Divino, specie questo primo; io Ti voglio custodire nel calice del mio cuore.
E’ la prova più convincente che solo unicamente l’amore Ti ha tratto dalle vene del mio Gesù, voglio con Te purificarmi e purificare tutti i luoghi contaminati dal peccato, voglio offrirti al Padre.
E’ il Sangue del Suo Figliolo prediletto, ch’è sceso a purificare la terra, è il Sangue del Suo Figlio UomoDio che ascende al Suo Trono a placare la Sua giustizia irritata per le nostre colpe.
Egli è sovrabbondantemente soddisfatto…
Che dico?
… Se la giustizia del Padre è soddisfatta, non è sazio Gesù di soffrire; no, Gesù non vuole fermare così la profusione della Sua carità per essi.
L’uomo deve avere la prova infinita dell’amore Suo, deve vedere fino a quale ignominia Lo farà giungere… Deve riconoscere che la Sua Redenzione è stata abbondante. Se l’infinita giustizia del Padre misura l’infinito valore del Suo Preziosissimo Sangue ed è soddisfatta, l’uomo invece deve toccare con mano che il Suo amore non è sazio di patire per lui e non si arresta, ma prosegue fino all’estrema agonia sulla Croce, fino alla morte ignominiosa su di essa…
L’uomo, forse tutto spirituale, può valutare, almeno in parte, l’amore che spontaneamente Lo riduce all’agonia qui nell’Orto, ma chi vive dedito agli affari materiali, aspirando più al mondo che al Cielo, deve vederlo ancora nell’esterno agonizzare e morire svenato per lui, su di una Croce, per scuotersi alla vista di quel Sangue, di quelle agonie strazianti.
No, non è soddisfatto il Suo Cuore amante!
… Egli ritorna in Sé, prega ancora una volta: «Padre, se Tu non vuoi che questo calice passi senza che Io lo beva, non la Mia, ma la Tua volontà sia fatta».
Ormai Gesù risponde al grido amoroso del Suo Cuore, al grido dell’umanità che per essere redenta Gli grida morte.
Alla sentenza di morte, che pronuncia il Padre contro di Lui, il Cielo e la terra Lo vogliono morto…
e Gesù china la testa adorabile rassegnato.
«Padre, se Tu non vuoi che questo calice passi senza che Io lo beva, sia fatta la Tua volontà…».
Ecco che il Padre invia un Angelo, un Angelo messaggero per confortare Gesù.
Quali motivi di conforto, di sollievo presenta l’Angelo al Dio forte, padrone dell’universo, invincibile, onnipotente!
… Ma Egli s’è fatto passibile, le nostre debolezze ha preso sopra di Sé, è l’uomo che soffre e che agonizza, è il miracolo del Suo amore infinito che Lo fa sudar Sangue e Lo riduce all’agonia.
La sua preghiera al Padre ha due motivi: uno per Sé, l’altro per noi. Il Padre non Lo esaudisce per Sé, ma Lo vuole morto per noi.
Credo io che l’Angelo si inchini riverente dinanzi a Gesù, a questa Eterna Bellezza ora ricoperta di sangue e di polvere e con deferente onore Gli appresti quel conforto di rassegnazione ai Divini Voleri, supplicandolo per la gloria del Padre ed in nome dei peccatori tutti di bere quel calice che «
ab aeterno» s’era offerto di bere per la loro salvezza.
Egli ha pregato, per insegnarci ancora che quando l’anima nostra si trova in desolazione, come la Sua, solo con la preghiera cerchiamo conforto dal Cielo.
Egli, nostra forza, sarà pronto a soccorrerci perché ha voluto portare sopra di Sé le nostre miserie.
Sì, o Gesù, Ti tocca bere il calice sino alla feccia, ormai sei votato alla morte più straziante!
… Gesù, che niente valga a staccarmi da Te, né la vita, né la morte. Seguendoti in vita, legato a Te appassionato, mi sia dato spirare con Te sul Calvario, per ascendere con Te nella gloria; seguire Te nelle tribolazioni e persecuzioni, per essere fatto degno un giorno, di venirti ad amare alla svelata gloria nel Cielo, per cantarti l’inno del ringraziamento per tanto Tuo patire.
Ma ecco che Gesù si leva da terra, forte ed invincibile, quale leone in battaglia, ecco ora quel Gesù, che anelante desiderava questo banchetto di Sangue «desiderio desideravi», si ravvia le chiome scarmigliate, rasciuga il Suo Volto bagnato di sangue e forte e deciso si avvia verso l’uscita dell’Orto.
Dove vai, o Gesù?… non sei Tu quel Gesù, ch’io vidi languire nell’anima in preda al terrore, tedio, paura, abbattimento, desolazione, spavento?
Ch’io vidi tremare schiacciato sotto l’immensa mole dei mali, che erano per sopraggiungerti?
… Dove vai ora così pronto, risoluto, pieno di coraggio?
… A che Ti esponi?
… Oh! lo sento!
L’arma della preghiera Mi ha fatto vincere e lo spirito ha soggiogato a sé la debolezza della natura; nella preghiera ho attinto forza ed ora posso tutto affrontare.
Segui il Mio esempio e tratta col Cielo con la medesima fiducia nel dolore come Io ho fatto.
Gesù si avvicina ai tre Apostoli; essi dormono ancora: l’emozione, l’ora tarda della notte, quel presentimento di qualche cosa di angoscioso, di irreparabile che par si avvicini, la stanchezza li ha versati nel sonno, quel sonno che opprime e che par impossibile potersene scuotere e che, scuotendosene, ci si ricade senza saper come, tanto che Gesù li compatisce dicendo:
«Lo spirito è pronto, ma la carne è inferma».
Intanto Gesù ha sentito così al vivo questo abbandono dei Suoi che esclama: «Dormite e riposatevi adesso» e si sofferma.
A stento, al rumore dei passi di Gesù, con uno sforzo essi hanno aperti gli occhi. Indi Gesù prosegue: «Basta così; l’ora è venuta; il Figliuolo dell’Uomo sarà dato nelle mani dei peccatori: alzatevi, andiamo.
Colui che deve tradirmi è vicino».
Gesù tutto vede col Suo sguardo onniveggente, par che dica: Voi che siete miei amici e discepoli dormite, ma i miei nemici vegliano e si danno da fare per prendermi.
Tu, Pietro, che ti sentivi forte di seguirmi fino alla morte, dormi! Sin da principio mi dai prova di debolezza; ma stai tranquillo, della tua debolezza. Io mi rivestii ed ho pregato per te, ravvedutoti sarò la tua forza e pascerai i miei agnelli…
Tu, Giovanni, tu pure dormi!
… Tu che poche ore fa, nell’estasi del mio amore per te, contasti i palpiti di questo Cuore, Tu pure dormi? … Alzatevi; andiamo, non è più ora di dormire, il nemico è alle porte, è l’ora della potestà delle tenebre, sì, andiamo.
Io spontaneamente vò incontro alla morte.
Giuda si appressa per tradirmi ed Io mi avanzo con passo fermo e sicuro, nessun ostacolo frapporrò al compimento delle profezie.
E’ giunta l’ora mia, l’ora di grande misericordia per l’umanità…
Ed infatti si odono alcuni rumori di passi, una luce rossastra di torce accese penetra attraverso le piante dell’Orto e Gesù, seguito dai tre discepoli, si avanza intrepido e tranquillo.
O Gesù, comunica ancora a me la stessa forza, quando, nella previsione dei mali futuri, la mia debole natura vorrà ribellarsi, ch’io affronti come Te e con serena pace e tranquillità tutte le pene e travagli, che possa incontrare su questa terra di esilio; unisco tutto ai meriti Tuoi, alle Tue pene, alle Tue espiazioni, alle Tue lagrime affinché cooperi con Te alla mia salvezza e fugga il peccato, che fu l’unica causa che Ti fece sudare sangue e Ti ridusse a morte.
Distruggi in me tutto ciò che non sia di Tuo gusto, e col fuoco santo della Tua Carità scrivi nel mio cuore i Tuoi dolori e stringimi sì fortemente a Te, con un nodo sì stretto e sì soave, ch’io non Ti abbandoni mai più nei Tuoi dolori; ch’io possa riposare sul Tuo cuore nei dolori della vita, per attingere da esso forza e ristoro.
Che lo spirito mio non abbia altra brama che vivere al Tuo fianco nell’Orto e saziarsi nelle pene del Tuo Cuore; l’anima mia s’inebria del Tuo Sangue e si cibi con Te col pane dei Tuoi dolori…
Così sia.

 

Tratta da: “Padre Pio da Pietrelcina MEDITAZIONI” Edizioni Casa Sollievo della Sofferenza San Giovanni Rotondo Foggia 1991