Il Giudizio e le Confessioni di Santa Veronica Giuliani

Meditiamo queste pagine delle esperienze soprannaturali di Santa Veronica Giuliani così importanti per comprendere la grandezza del Sacramento della Confessione e della Comunione.

 

Da “S.Veronica Giuliani il Diario” Edizioni Cantagalli

Il suo confessore questa volta collabora con Veronica: è più generoso nel permetterle le penitenze, sembra assoggettarsi senza riserva alcuna, alla volontà di Dio. Gesù è felice e conferma quanto le ha comandato il suo rappresentante e insiste ancora con lei affinché si prepari a ciò che lui vuole e che sia sempre generosa in tutto ciò che le accadrà. Così esortandola… «– mi ha fatto vedere un luogo oscurissimo il quale davami spavento a vederlo, e mi ha detto: “Qui tu devi stare ogni giorno, per un’ora; ma a te parrà un’eternità. Questa pena io te la dò, per tutte le ingratitudini che hai usato con me”. E poi mi ha fatto vedere un altro luogo pieno di tormentosi strumenti. In un istante, si muovevano tutti, e pareva che tutti mi volessero uccidere; ma io non vedevo chi li muovesse. Ma il Signore mi ha fatto capire che io, per mani dei demonii, proverò tutto quel tormentoso spettacolo, che solo vederlo faceva tremare… Dopo questo mi ha fatto intendere che, fra tutte le pene, la maggiore sarà quella, quando Esso medesimo si nasconderà. Così dicendomi, non l’ho veduto più. Oh! che pena! Io son tornata in me, più morta che viva. Io non lo potevo chiamare; il perché non lo so. Questo davami più pena. Io non lo poteva cercare, perché di già stavami in mente la sua lontananza, e, per me, non pensavo che mai più ritornasse. O pena sopra ogni pena! Io non potevo raccomandarmi né alla Beata Vergine né ai santi, perché non pensavo di poter più ricorrere a nessuno. Alla fine, son restata nel puro mio niente, e conoscendo che meritavo ogni pena, ogni tormento, dicevo: “Signore, eccomi pronta a tutto, perché faccia la vostra volontà. Questo mi basta”. Quando ho detto così, mi si è allargato il cuore; ed, in un subito, il Signore mi ha ispirato che queste sorte di pene me le dà, per ben fondarmi in umiltà e nella cognizione di me stessa». La volontà di Dio comincia a manifestarsi in lei nella notte del 21 marzo, mentre fa orazione. «– Mi è venuto un rapimento nel quale il Signore mi ha fatto capire che la confessione da lui, la dovevo fare la notte della domenica delle Palme, e che in detta settimana, penerò tutte le sorte delle pene; che così esso vuole, per sua maggior gloria e per profitto dell’anima mia. E fecemi anco intendere, che vuole far lo sposalizio, di nuovo, con quest’anima, e che tutto quello che faccio, lo applichi, per preparazione a questo fine, acciò, una volta, sia tutta sua. Mi pareva di essere in un luogo molto grande, del quale non vedevo la fine. Ivi nel mezzo, vi erano due troni, come di alabastro, fatti di lavori finissimi, e tutti ben lavorati. In un subito, ho veduto venire, alla lontana, una gran processione. Prima erano fanciullini ben piccoli, ma così belli e ben adorni, che pareva avessero vesti di gemme; e tutti avevano in mano una croce ben piccola, ma bella. E di questi ve ne erano tanti e tanti, che non finivano mai di passare; ma però tutti si fermavano ivi, per ordine, d’intorno ai detti troni. In questo punto, ho avuto cognizione che questi erano tutti angeli. E poi, hanno incominciato a venire tante sante, tutte di una medesima grandezza, con corone bellissime in capo, e con una croce in mano. Le dette sante erano vestite tutte a un modo. Solo gli adornamenti delle vesti erano differenti; che questi significavano le loro virtù esercitate in questa vita. Le vesti erano bianche e tutte risplendenti come tanti soli. Fra queste sante mi pareva di riconoscerne alcune; ma così non le avevo mai vedute. Anco esse si sono messe d’intorno ai due troni. E poi, hanno incominciato a venir tanti santi, tutti di una medesima grandezza, vestiti anco essi di chiara luce; solo, in capo avevano cose differenti. Chi aveva la corona di gioie, chi un diadema di gemme. In mano, alcuni avevano il giglio e la croce e in parte la croce sola. Dietro a tutti questi santi vi era la Beatissima Vergine la quale, di bellezza, di ornamenti, passava tutti. Con lei vi erano le tre sante, più volte da me vedute, cioè santa Caterina, S. Teresa e S. Rosa. Parevami che mi facessero cenno che io andassi ivi vicina. In un subito, mi è venuto il rapimento e mi ha trasportato ai piedi della Beata Vergine, la quale stava assisa a sedere in uno di quei troni. Io la pregavo di cuore, e dicevo: “Voi siete mia madre e madre di misericordia; però abbiate pietà di me; impetratemi un vero dolore dei miei peccati, e pregate il vostro figlio, che mi voglia perdonare le tante offese fatte verso S. D. M.”. La Vergine mi ha detto: «Sta posata; io son con te; e tutti questi che sono qui presenti sono venuti per aiutarti. Ed il mio Figlio ora verrà». Mentre così mi diceva la Vergine, è comparso il Signore con una gran moltitudine di Angeli, come quei primi che avevo veduto. Il Signore era glorioso, e aveva in mano una croce grandissima. Così mi ha detto: «Ora vengo, tutto amore; ma il giorno del giudizio, nel quale io comparirò in questo medesimo modo, allora sarò tutto sdegno e rigoroso. Tu, in questo punto, proverai gran pena, ma questa pena non è niente a confronto di quella che avranno allora tutti universalmente –». Giunto il tempo stabilito, la confessione promessa avviene ed ecco la nostra santa pronta, in nome dell’obbedienza, a descriverla; ma teme e non ha cuore di farlo. Tuttavia, dopo aver invocato Dio, affinché voglia egli parlare in sua vece, si getta in questo duro compito sicura dell’intervento di colui che con tanto slancio aveva supplicato. È il 31 marzo 1697. «– Avanti le ore 8 di notte, mi è ‘venuto il raccoglimento ed insieme la visione di nostro Signore glorioso, della Beatissima Vergine e di molti santi e sante con una moltitudine di angeli. Io stavo tutta tremante, per la funzione che il Signore voleva fare con l’anima mia. Ove mi volgeva, parevami di trovare giudizio. Il Signore si è posto a sedere in un trono, e tutti quei santi e sante gli facevano corteggio. La Santissima Vergine (si è posta) in un altro trono, e tutti gli angeli, per aria, cantavano: VITTORIA! VITTORIA! Ma io (stava) tutta tremante, con tutte le colpe commesse avanti di me, e, con esse, sono andata, non so come, ivi, avanti il trono di Gesù Cristo, il quale si è coperto la faccia con le sue mani, per non vedermi. Questa è stata una pena che, con la penna e con parole spiegare non posso. Solo quella musica angelica davami certa generosità, e sentivo che supplicavano: VITTORIA! VITTORIA! Alla fine, il Signore si è discoperto il volto, e mi ha fatto cenno di andare dalla Beata Vergine. In un subito, mi sono ritrovata avanti ai suoi piedi, ma non so come. Con tutto ciò, la volevo pregare che volesse placare il suo figlio per me; ma ho veduto che anco la Vergine ha fatto lo stesso che ha fatto il Signore, cioè, si è, anco lei coperta il volto. O Dio! che dolore, che pena ho provato! Solo dico così. Del resto, il contenuto della pena, spiegare non si può. Io non potevo dire una parola, ma solo stavo aspettando la sentenza della dannazione. O Dio! non vi erano preghiere né aiuto nessuno per me. Alla fine, la Beata Vergine si è scoperta il volto e mi ha fatto cenno di andare davanti alla madre S. Chiara; ed io, come si fosse non lo so, subito mi trovai avanti S. Chiara, la quale, subito al mio arrivo, anco ella si è coperto il volto, per non volermi vedere. O Dio mio! Queste, per me, erano pene di morte; eppure non potevo parlare! Alla fine, la madre S. Chiara mi ha cominciato a parlare e dire: “Io non ti conosco per mia figlia”. Ed io, in quel punto ho detto: “Dite il vero, perché non sono stata vostra figlia, stante che non ho osservato quanto da voi è prescritto nella regola”. Dicendo così, mi pareva di avere avanti tutti i mancamenti commessi contro detta regola. Mi davano confusione e orrore, e facevami ammutolire. Di nuovo, ho sentito quei canti che replicavano: VITTORIA! VITTORIA! Davami animo. Ho pregato S. Chiara che essa volesse venir meco davanti al Signore. In questo punto, il Signore ha detto alla medesima, che ella mi menasse da tutti quei santi che erano ivi presenti. Il primo è stato S. Francesco, il quale ha fatto lo stesso. Si è coperto, anco egli, il volto, per non vedermi. Così hanno fatto tutti gli altri. Per me non vi era altro che pena, confusione e rossore. Nessuno mi voleva vedere. O Dio mio! mentre che scrivo, non posso (andare innanzi) per il tremore che sento al solo ricordarmi di ciò! Oh! pensate, in quel mentre, il patire che provavo! Io già stavo aspettando la sentenza di dannazione, di me. Tutti mi scacciavano come cosa abbominevole. O Dio, che pena! Ma frattanto, ben conoscevo che meritavo confusione esclusiva, perché avevo offeso Iddio sommo Bene, ed altro luogo non mi perveniva che l’inferno. Rivolta al Signore, io gli dicevo, ma senza parlare: “O Signor mio, ov’è la vostra misericordia per me?” Ed io, rivolta alla Vergine Santissima, dicevo: “Voi siete madre dei peccatori, ed ora, per me, che fate in sì estremo bisogno?”. Ed ella si velava la faccia. Il mio angelo custode mi fece inginocchiare ai piedi del Signore, e mi impose di confessare pubblicamente le mie colpe e tutto quello che avevo commesso, in tempo di mia vita. In questo mentre, feci il segno della croce e volevo incominciare la mia confessione; ma non potevo, per il dolore che mi sentivo di avere offeso lui, mio sommo Bene. Alla fine, ho cominciato la confessione così: “Sposo mio, ho offeso voi, e da voi mi confesso”. Così dicendo il Signore mi ha dato lume, e mi ha fatto conoscere di quanto pregio e valore sia questo sacramento della penitenza. Sentivo tal pena, che più non potevo proferire parola. Il Signore mi sollecitava che io dicessi; e, di nuovo, ho detto: “Mio sommo Bene, sposo dell’anima mia, ho offeso te bene infinito”. E non potevo più. Questa sola parola facevami penetrare cosa erano le colpe ed offese di Dio, e più non potevo parlare. Il Signore mi ha fatto tacere, ed ha detto al mio angelo custode che esso facesse l’accusa per me. Così il detto angelo ha cominciato dall’età di tre anni sino all’ora presente, e mi ha accusato di tutto. E, con tutto che facesse accuse generali, parevami di vedere distintamente ogni minimo pensiero, ivi, davanti al cospetto di Dio. Oh! che pena! Oh! che tormento! Oh! che dolore io provavo! Quando il mio angelo mi accusò circa la devozione alla Beata Vergine, il Signore chiamò la sua madre santissima e fece che ella, da se stessa, mi accusasse. Così fece, e tutto quello che avevo fatto in suo onore, fecemi conoscere essere tutto invalido e senza valore nessuno, e di nessun frutto. Stavano le mie divozioni intorno alla Vergine, come fiori infra diciati e puzzolenti. O Dio! Che confusione avevo! Non potevo parlare, ma frattanto volevo raccomandarmi ad essa, ed essa si copriva il volto. Sentivo pentimento di tutto quello che avevo mancato verso di essa, e proponevo di fare tutto l’opposto, per l’avvenire; ma essa stava col volto coperto. Alla fine il Signore le ha detto: “Queste piaghe siano supplementi a tante commesse colpe, e tutto si renda a voi fruttuoso e di onore”. In questo punto, tutti ‘quei fiori puzzolenti e fradici divennero odorosi e come (di) color d’oro; e la Beata Vergine, rivolta verso di me mi ha dato la sua benedizione, e, di nuovo si è messa nel suo trono. Il mio angelo custode seguitava ad accusarmi. Quando fu alle colpe sopra la purità, io mi ricordai dell’obbedienza avuta dal mio confessore cioè che io domandassi al Signore, se, in ciò, avevo peccato mortalmente, e se, (in) tutto il tempo che ho taciuto detti peccati ho fatto sempre sacrilegi. Così, rivolta al Signore gli ho detto: “Mio Signore l’obbedienza di chi sta in vostro luogo, mi ha detto, che vi domandi, da una parte, se io ho commesso peccato mortale sopra questo punto della purità”. Ed Egli mi disse: “Digli di no, ma bensì che sei arrivata quasi a commetterlo. E se non fossi stato io che sempre ti ritiravo da ciò, ne avresti fatti senza numero”. Mi diede lume particolare che quelli erano difetti gravi e cose che molto gli dispiacciono; ma, per fare un peccato mortale ci vuole volontà ed anco conoscimento che sia peccato: “E tu avevi timore che fosse peccato: e, se lo avessi conosciuto per tale, non l’avresti commesso. In quanto alla pena e rammarico avuto, per tanti anni, io ho voluto che tu passi sì atroci pene, in pena delle colpe commesse”. Fecemi vedere, per via di comunicazione, di quanto impedimento sia stato all’anima mia tutto ciò. Il mio angelo seguitò la confessione, e, quando fu all’accusa dei difetti commessi nel tribunale della confessione, il Signore mi riprese, che io, molte volte, non avevo detto, in specie, i pensieri e le tentazioni impure, e che ciò avevo lasciato, per vergogna e poca mortificazione; e che ciò era difetto, e sono cose che sempre si dovrebbero dire, in specie, per avere quel rossore e confusione nel sacramento della penitenza. Mentre il mio accusatore diceva, che io, in tutto, avevo fatto la mia volontà, il Signore mi riprese di tre cose particolari: 1) di non aver conferito (manifestato) le grazie e doni che esso ha dato a quest’anima mia; 2) che io non avevo fatto quanto dai suoi ministri mi era stato comandato; 3) che io ero stata incostante e poco fedele nelle risoluzioni e proponimenti fatti di volere essere tutta sua. Il mio angelo custode, di nuovo, seguitò ad accusarmi, sino all’età che mi feci religiosa. Quando arrivò a questo punto, il Signore chiamò la madre S. ‘Chiara ed il padre S. Francesco, acciò essi venissero ad accusarmi di quanto avevo commesso nella religione. Così essi fecero, con mia gran confusione. E già il Signore mi dava lume che di religione non avevo altro che l’abito e il nome. Che pena! Che dolore! Io, al meglio che potei, pregai detti santi che mi volessero perdonare, per i meriti della passione di Gesù. In questo punto, mi fecero conoscere due cose particolari che molto impedimento avevano fatto all’anima mia, ed erano i mancamenti commessi contro il voto della povertà ed anco contro il voto dell’obbedienza. Essi santi si posero davanti al Signore, e gli chiesero per dono per me; ed, in tutto quello che avevo mancato io, gli offerivano i meriti medesimi di Gesù, e tutto quello che esso aveva patito nella sua passione. In soddisfazione delle inosservanze, gli offerivano tutte le opere e fatiche e patimenti fatti da loro, in questa vita e l’osservanza puntuale che essi avevano fatta di quanto avevano promesso a Dio. E poi, rivolti a me, di nuovo, si velavano la faccia. O Dio! che pena! Io, rivolta alla Vergine santissima la pregavo, ma non so come, acciò ella mi volesse ottenere la grazia che i detti santi si placassero verso di me. Così ambedue mi benedissero. Il mio angelo custode seguitò ad accusarmi di ogni minimo difetto ed io, ad ogni sua accusa, sentivo pena e dolore, per avere offeso il sommo Bene. In questo punto, sentivo, di nuovo, che tutti quegli angeli cantavano: VITTORIA! VITTORIA! Fatto tutto ciò, ii Signore volle che tutti quei santi e sante venissero ad accusarmi. Così fecero ed a me aggiungeva pena e dolore, S. Bonaventura, S. Antonio e S. Bernardino mi accusarono di più cose. In particolare, mi ricordo di questo: la pigrizia che ho avuto nelle cose spirituali, la poca carità spirituale, e il poco zelo dell’onore di Dio. Sant’Agostino e S. Domenico, ambedue mi accusarono che io avevo cercato più l’onore e grazia propria, che il puro onore e gloria di Dio, e (che) il mio cuore lo avevo tenuto più alle cose della terra che a Dio solo. S. Filippo Neri e S. Giovanni Battista mi accusarono che non avevo corrisposto alle divine chiamate, e che non avevo amato chi tanto ha amato l’anima mia, cioè Gesù. Il mio S. Paolo con altri santi, mi accusarono della pusillanimità nell’operare, per la pura gloria di Dio, con altre cose che ora non mi ricordo. S. Lorenzo, S. Stefano con altri martiri, mi accusarono (del) poco amore che avevo avuto al patire, e quante volte avevo fuggito la croce e le pene. Molti altri santi da me conosciuti, mi accusarono della sollecitudine che avevo avuta in difendere me stessa, e la poca stima che aveva fatta dei disprezzi. Infatti io non sentivo altro che accuse e confusione. Oh! che dolore sentivo! Stavo aspettando la sentenza, e tutta, con timore e tremore, addolorata, piangevo. Non avevo a chi ricorrere. Ove io guardavo, vedevo che nessuno voleva ascoltare, Alla ‘fine, tutti questi santi si sono prostrati davanti al Signore, ed hanno fatto suppliche per me, e tutti, unitamente, di cevano: “Signore, perdono, pietà di quest’anima”. E tutti offerivano la passione e sangue di Gesù, in soddisfazione di tante mie colpe. E tutti questi santi che erano presenti, stavano prostrati davanti alla Beata Vergine, e dicevano: “Noi vi chiediamo quest’anima”. Io ne riconobbi solo tre. Una era S. Caterina da Siena, l’altra S. Rosa da Lima, e S. Teresa. Stando io tra timore e tremore e dolore grande di avere offeso Dio, di già ero circondata da tutte le colpe commesse, che mi rendevano abbominevole davanti a Dio e a tutti. In questo punto, il Signore mi ha fatto partire da me tutte queste bruttezze delle offese fatte, e sono restata davanti a lui, come una fanciulla di pochi anni. Ansimavo di tornare in grazia sua. Così la Vergine SS. Ella medesima si è prostrata davanti al Signore, ed ha offerto il suo cuore col cuore mio, acciò il Signore l’accettasse. Così ha fatto dei suoi sentimenti, delle sue potenze e di tutta se stessa. Così il Signore ha accettato quest’anima, per mezzo della Vergine SS. In questo mentre, il Signore si è levato in piedi, ed ha mostrato le sue sante piaghe alla Vergine SS. e a tutti quei santi e sante. Così ha detto: “Per mezzo di queste mie piaghe e di quanto voi tutti mi avete pregato, io perdono a quest’anima”. Mi ha dato la benedizione, con dirmi: Vade in pace; iam amplius noli peccare –». Sette son le sue confessioni e lei le descrive in un diario a parte; a noi basta conoscere la prima, che è stata ampiamente presentata, e l’ultima che ora leggeremo. Questa è molto più breve e termina con la promessa di non cercare per l’avvenire altro che Dio, e vivere come se non esistesse altro che il Signore e l’anima sua. «– Sentivo un dolore intimo. Non potevo parlare, ma tanto il Signore mi ha capito. Ha detto tutto al mio angelo, che andasse da tutti (santi e sante), in mio nome. La B, Vergine si è posta avanti ai piedi di Gesù, e così ha detto: “Io, in soddisfazione delle colpe commesse da questa mia serva, ti offerisco la tua SS. Passione e tutti i tuoi meriti; ed anco io medesima mi consegno a te, per mezzana di quest’anima, e, per la medesima, ti addimando pietà, perdono”. In questo istante, il Signore si è levato in piedi, ed ha detto: “Sia concessa la grazia”. Gli angeli cantavano: VITTORIA! VITTORIA! ed il Signore rispondeva: “Sì, anco io confermo: VITTORIA!”. Rivolto verso di me, mi disse: “Ora anco tu potrai dire: VITTORIA!…”. … sì, anco io dico VITTORIA! ma tutto si è ottenuto, per mezzo delle vostre sante piaghe, e però si può dire: VITTORIA! “…ti siano perdonati i tuoi peccati. Il dolore che tu hai di presente, ti serva di vera confessione. Non occorre altro. Domani, come sarai davanti a chi sta in mio luogo, io ti confermerò l’assoluzione, in cielo, col tuo confessore che te la darà presente, e farò che tu abbia la contrizione. Orsù! vade in pace; iam amplius noli peccare” –». Con delle confessioni così speciali e privilegiate, è ben facile a Veronica chiarire quali sono i sentimenti che devono accompagnare al confessionale il penitente, e di conseguenza le dolcezze che si provano durante la seguente comunione. Avrà ancora parole di maggiore efficacia che «ci faranno gustare dolcezze di Paradiso» dice P. Pizzicaria; lo vedremo più avanti: per il momento gustiamo queste come anticipo. «– Circa il punto che si richiede, per ben disporsi per andare alla santa confessione, il Signore mi fece capire che, andando a questo tribunale, la persona devesi disporre con profonda umiltà, con timore, tremore e lacrime; deve accostarsi a questo sacramento, con fermo proposito di mai più voler cascare nelle medesime colpe, né in altre volontariamente; si deve andare davanti al confessore come a Dio medesimo, perché tiene il medesimo suo luogo; e si deve dire tutto, con schiettezza, semplicità e purità d’intenzione. Così si deve andare anco disposta di fare, in tutto, senza replica, quanto il detto confessore comanda. Non solo si deve fare, ma farlo con sentimento, e pensare che ce lo ha imposto, per mezzo di esso, il medesimo Dio. Il sentimento che io ebbi sopra di ciò, mi ha lasciato questo lume, che se noi durassimo anni interi ad una tal preparazione, tanto non faremmo niente, perché questo sacramento della penitenza è cosa sì grata a Dio, che richiede ogni disposizione possibile. Così è il divinissimo sacramento dell’Eucaristia. O Dio! Questi soli ci dovrebbero far vigilare in tutto e per tutto, (intorno) il nostro poco operare, e (farci) tutto applicare a questo fine, parte per disporci ad essi, e parte per preparazione ai medesimi, acciò che tutto risultasse a maggior gloria di Dio, e salute delle anime. Quando vengo alla S. Comunione, nel ricevere la S. Ostia, provo dolcezza non ordinaria, e mi dura la detta dolcezza, in bocca, per più ore. Ed anco, più volte venendo in me, il Signore sacramentato porta in me una fragranza di odore soavissimo; e, per più tempo, ogni volta che apro la bocca, per parlare e sospirare, lo stesso mio fiato ha lo stesso odore. Tutto ciò mi fa buono, per farmi stare più sollecita a pensare (a) chi è venuto in me; O Dio! Anco delle volte, subito ricevuto il Santissimo, sento per breve tempo, musiche e suoni di angeli i quali mi danno grande applicazione; e, nel sentire ciò, in un subito, mi trovo fuori dei sensi. Ma questi canti sono di rado; Io, nel ricevere che faccio il Santissimo, delle volte, quando mi accosto, con la bocca, per pigliarlo, sento un gran calore, come di fuoco. Così lo sento anco in bocca; e detto fuoco, subito, va alla volta del cuore. Sento benissimo quando Gesù si ferma in esso. Anco molte volte, mentre che il sacerdote lo tiene in mano, per porgermelo, pare che Gesù mi vada dicendo: “Eccomi; ora vengo nel tuo cuore”. Ma, dacché io ho avuto la ferita, non ho più sentito dire: Vengo nel tuo cuo‑ re, ma tutto l’opposto. Pare che il Signore vada dicendo: “Ora vengo alla mia abitazione; e questo lo faccio per pigliarne il possesso”. Venuto che è dentro, mi fa consumare di contento e di gioia, e va dicendo qualche volta: “Haec requies mea”. O Dio! che parole son queste! Mi fanno uscire fuor di me. In questo istante, Iddio da all’anima mia qual che comunicazione, ma non posso raccontarla. Mi fa comprendere che il medesimo (mio) cuore sia divenuto un paradiso, edanco provo, per poco tempo, dolcezze di Paradiso. E queste cose, non solo le provo, stando ivi, in chiesa, ma anco delle volte che bisogna che io esca subito, fra le faccende provo lo stesso; ed allora (mi) trovo fatte le opere fra le mani, e non so come le abbia fatte. O Dio! Più dico e più ricordo di avere a dire, e, se volessi raccontare tutto, non finirei mai. Alcune volte, nel ricevere che faccio Gesù, provo strettissima unione e intrinsichezza col medesimo; ma di questa non posso dirne parola. Così mi avviene, quando ho quei baci di pace cosa che, in un istante, finisce. Né certo, non si potrebbe vivere. E nemmeno di ciò posso scrivere niente, adesso; ma spero che il Signore anche questo vorrà che io manifesti, per sua gloria –».