L’Agonia di Gesù nell’Orto degli Ulivi (Rivelazioni di Gesù a Suor Cecilia Baij)

Non lasciamolo solo, facciamo compagnia per un ora a Gesù che prega, piange e suda sangue per noi nel Getsemani.

(dopo che hai letto le parole di Gesù a Suor Cecilia Baij, vedi anche =>> http://rivelazionicristiane.altervista.org/gesu-nel-getsemani-le-6-promesse-del-figlio-dio-si-ricorda/ )

Essendo arrivati all’orto, lasciai alla prima entrata otto dei miei apostoli, ai quali dissi, che pregassero, affinché non li sorprendesse la tentazione. « Orate figliuoli miei», dissi loro, perché ora è tempo di raccomandarvi molto al Padre, onde ottenere che vi liberi dalla tentazione, e vi dia aiuto e forza, essendo vicino il travaglio! Restarono quivi mal volentieri i miei apostoli, presi da grave timore. Con tutto ciò, animati da me, rimasero a pregare, ma, poco dopo, si addormentavano.
Condussi Pietro, Giacomo e Giovanni vicino al luogo dove mi valevo porre ad pregare, e quivi li lasciai, esortandoli a fare orazione. Condussi questi tre apostoli presso di me, perché erano stati spettatori della mia Trasfigurazione gloriosa, ed erano quelli, che, più degli altri, si mostravano ferventi. Pietro aveva protestato di voler morire con me, se fosse stato necessario; Giacomo e Giovanni si erano offerti di bere il calice. Lasciatili, dopo aver loro inculcato molto lo star vigilanti e l’orare, perché non entrassero in tentazione, mi allontanai da loro di poco e mi prostrai in terra, per pregare al Padre mio.

La mia umanità aveva inteso rincrescimento ed orrore nell’entrare nell’orto, sapendo il grande travaglio e l’amarezza che mi era stata preparata. Animato, però, dal pensiero che andavo ad adempire la volontà del Padre, entrai con generosità, pronto a soffrir tutto. Essendomi posto ad orare al Padre, facendogli profonda adorazione, mi senti riempire tutto di un più grave timore ed amarezza, per l’imminente passione e morte. Intesi orrore per i gravi patimenti, che mi erano stati preparati, ed esposi al Padre il mio travaglio, dicendogli: « Padre mio, se è possibile, passi da me questo calice; nondimeno non si faccia la mia volontà, ma la tua; » mostrandomi così pronto a soffrire tutto per adempire la volontà del Padre. A questa richiesta mi sentii riempire di maggiore tristezza, trovandomi come abbandonato dal Padre, il Quale lasciava che la parte inferiore, cioè, l’umanità mia sentisse tutto il travaglio e l’amarezza, senza, che la parte superiore, cioè, la divinità che era unita a me, mi desse alcun conforto.

Stando quindi solo, abbandonato, senza alcun conforto, mi riempi di grave desolazione. Vidi allora tutte quelle anime che avrebbero patito travagli e tristezze interne, senza trovar conforto alcuno, permettendolo il Padre per altissimi fini. Per esse intesi dolore e pregai il Padre onde si degnasse di raddolcir loro la grave pena, offrendomi pronto a soffrire io tutta l’amarezza e tristezza; capii che il Padre avrebbe addolcito le loro amarezze, in virtù della tristezza sì grande che io soffrivo. Io gliene resi grazie da parte di tutti. Non ti apporti meraviglia, il sentire che, essendo allora come abbandonato dal Padre, con l’umanità mia priva di ogni conforto, da parte della divinità, che a me stava unita, intendessi ciò che il Padre avrebbe operato a favore dei miei fratelli, per i quali in ogni istante pregavo: questo abbandono era solo per la persona mia, per privare me d’ogni conforto, non già per quello che riguardava il bene e l’utile dei miei fratelli.

Stando, dunque, così in preghiera, vedevo che i miei apostoli si erano addormentati. Volli andare a destarli, perché non li sorprendesse la tentazione: vedevo il nemico infernale che si studiava molto per farli cadere in pusillanimità. Ed allora più che mai, per il tradimento di Giuda, aveva preso ardire, e la faceva da padrone crudele, istigando tutti contro di me, per procurare la mia morte, perché, stando io al mondo, gli erano di gran tormento le perdite che faceva. Non potendo il nemico penetrare, che io fossi veramente il Messia promesso, i demoni fecero fra di loro un conciliabolo, risolvendo di istigar tutti contro di me, e farmi patire, per mezzo dei ministri di giustizia, tutti gli strapazzi ed i tormenti immaginabili, sperando di farmi perdere la virtù della pazienza, che sino allora avevo esercitata, come anche per scoprire chi fossi.

Alzatomi pertanto dalla mia penosa orazione, andai a destare i discepoli che dormivano. Dissi loro che vegliassero ed pregassero, perché non entrassero in tentazione. Destati i discepoli, e postisi di nuovo a pregare, tornai alla mia orazione. Allora supplicai il Padre a volersi degnare di destare i miei fratelli, quando fossero sorpresi dal sonno pernicioso della tiepidezza e della trascuratezza dell’obbligo di attendere alla loro eterna salute. E vidi, che il Padre l’avrebbe fatto con vari e opportuni rimedi, secondo il bisogno di ciascuno. Per questo intesi qualche sollievo alla mia grave amarezza, benché sentissi molta pena, nel vedere che pochi se ne sarebbero approfittati, ritornando a dormire, come fecero i miei apostoli, che il nemico infernale procurava di opprimere col sonno, perché non facessero orazione; in tal modo stimava di poterli vincere facilmente.
Vidi allora io tutti quelli cui il demonio avrebbe impedita l’orazione, perché, trovandoli sprovvisti di questa fortissima e potentissima arma, può vincerli molto facilmente. Per questo parlai tanto ai miei apostoli della necessità di fare orazione, e nella persona dei miei, apostoli, a tutti i miei fratelli. Pregai il divin Padre di dar lume a tutti, affinché conoscano questa verità, e la necessità grande che ognuno ha di orare, per poter vincere il nemico infernale. E vidi, che il Padre non avrebbe mancato di dare a tutti il suddetto lume. Vidi ancora che molti se ne sarebbero approfittati, e, con questa potente arma, avrebbero vinto i loro nemici, ottenendo molte grazie dal divin Padre. Di ciò godei, benché sentissi grande amarezza nel vedere il numero grande di coloro che se ne sarebbero abusati, rimanendo vinti dai loro nemici infernali. Volli anche lasciare esempio ai miei seguaci, che a volte devono lasciare i pii esercizi, per aiutare i loro prossimi bisognosi, in pericolo di perdersi, affinché tornassero poi a pregare, come vi tornai io.

Genuflesso, adorato ancora il divin Padre, tornai a supplicarlo dicendo: «Padre mio, se è possibile, passi da me questo calice; non si faccia però la mia volontà, ma la tua ». Volli anche in questo, lasciare esempio ai miei fratelli, insegnando il modo con cui devono pregare il Padre, esponendogli il loro desiderio, rimettendosi, però, tutti al divin beneplacito.

In questa seconda orazione, sentendomi abbandonato, mi riempi di più grave tristezza: e come derelitto, v’intesi tedio e mestizia. Si rappresentarono alla mia mente tutti i patimenti che avrei dovuto soffrire nel corso della mia acerbissima passione: le ingiurie, gli strapazzi, le derisioni. Permisi alle dette passioni che mi tormentassero per soffrirne volontariamente tutta l’amarezza, la pena, lo sfogo sopra la persona mia, onde ottenere che restassero mitigate e raddolcite per tutti i miei fratelli, quando essi le avessero dovute soffrire per l’adempimento della volontà del divin Padre.

Trovandomi, perciò, in grande abbattimento, oppresso da tante pene, ricolmo di affanno, mi ridussi in mortale agonia, senza conforto alcuno. Vedevo anche la mia diletta Madre, che si trovava in grande affanno, perché sentiva, nel suo cuore amante, i crucci che io stavo provando; questo accresceva il mio travaglio. Tutti i miei discepoli dormivano, ed io ero solo, derelitto, abbandonato, tra sfinimenti di morte. Non vi era chi mi dicesse una parola di conforto. E ciò che più mi crucciava era l’abbandono del Padre. Prolungai con tutto ciò la mia penosa orazione, soffrendo allora nella mente tutto ciò che poi avrei sofferto nel corpo durante la mia acerbissima passione.

O sposa mia, quanto vidi e quanto intesi di travaglio e di pena in questa penosissima orazione! Offrivo tutto al Padre in sconto delle offese, che riceveva dai miei fratelli. Stando in sì penosa agonia, soffrivo anche una grandissima debolezza di forze corporali; prostrato colla faccia in terra, replicavo le preghiere al Padre; ma il Padre mi lasciò in grave affanno, dimostrando di non ascoltarmi. 

Essendo stato per un pezzo a penare in tal modo, mi alzai a fatica dall’orazione, ed andai di nuovo a destare i miei apostoli, che dormivano, dicendo a Pietro: Simone, anche tu dormi? Non hai potuto vegliare neppure un ora con me? Volevo con queste parole fargli conoscere, che, se non poteva stare per breve tempo in orazione e vegliare con me, come poi avrebbe potuto morire con me, se fosse stato necessario? Dissi queste parole a Pietro, e, nella persona sua, a tutti quelli che fanno promesse, di voler patire e soffrire grandi cose per amor mio e per imitarmi, e poi, all’occasione, non sanno soffrire neppure un incomodo, né la privazione di una minima soddisfazione, come fece Pietro, che non seppe superare un po di sonno. Vidi allora tutti coloro che l’avrebbero imitato in questo suo darsi al sonno durante il mio grave travaglio, e ne intesi amarezza.

Svegliati i miei apostoli, dissi loro il mio grande patire:
« Sappiate che l’anima mia si trova in tristezza, sino a soffrire l’agonia di morte». Ciò dissi loro con parole molto compassionevoli; ma essi, sbigottiti ed oppressi dal sonno, non mi dissero neppure una parola di conforto. Onde io, tutto afflitto e amareggiato, di nuovo ricorsi all’orazione.

Prostrato in terra e adorato il divin Padre, Gli ripetei: «Padre mio, se è possibile, passi da me questo calice: non si faccia, però, la mia volontà, ma la tua». Il Padre neppure allora mi confortò, ma, lasciandomi abbandonato alla mestizia, alla tristezza e all’amarezza, mi riempì di un più grave affanno.

Allora si presentarono alla mia mente tutti i peccati dei miei fratelli, dal principio sino alla fine del mondo, con tutto il loro peso, gravezza e misura. Vidi la mia persona che si era addossata tutto il peso per pagare alla divina giustizia una traboccante soddisfazione. Vidi l’ira paterna contro di me, per le colpe addossatemi. Vidi la gravezza delle offese al divin Padre, da me infinitamente amato. Vidi, di nuovo, la gravezza ed acerbità della mia passione e morte, per pagare il debito di tanti delitti. Vidi il numero grandissimo di quelli che si sarebbero dannati, per i quali sarebbero stati inutili i miei gravissimi patimenti ed il mio sangue sparso con tanta carità ed amore. Vidi le offese di coloro che si sarebbero salvati, e che pur essendo anime elette, avrebbero offeso molto il divin Padre, ravvedendosi poi. Vidi tutto ciò che si sarebbe operato nel mondo. Vidi la dignità della mia persona esposta a sì gravi tormenti, e il poco conto che i miei fratelli ne avrebbero fatto. Allora, immerso in un mare di crucci e di tormenti, rivolgendomi al Padre, provai un grandissimo dolore per le molte e gravi offese che aveva e che avrebbe ricevuto sino alla fine del mondo; ed in siffatto dolore caddi in terra bocconi, sudando vivo sangue, che, uscendo dal mio corpo, scorreva in terra a gocce ben grosse. Offri quel sangue al Padre per placare il suo sdegno, in caparra di quello che avrei sofferto durante la mia passione e morte, e di tutto il sangue che avrei in essa versato.

Stando in così grave tormento, bagnato di sanguigno sudore, agonizzante, caduto in terra, vedevo che il traditore Giuda e tutta la sbirraglia si erano adunati insieme per venire a prendermi. Ciò causava maggior cruccio al mio cuore afflitto, in modo che arrivarono al colmo le mie pene, i miei dolori e la mia amarezza. Mi trovavo in tale stato che sarei morto, se il Padre, con la sua potenza, non mi avesse conservato in vita. In me la divinità serviva solo per questo prodigio: che non restassi morto sotto il peso di sì gravi tormenti.
Alla fine si placò il Padre, per l’offerta che gli feci dell’acerbissimo dolore, della contrizione che avevo di tutte le offese del genere umano é del sudore sanguigno che versai; per cui, soddisfatta appieno la divina giustizia, Egli mandò un angelo perché mi confortasse e mi animasse a bere l’amaro calice della passione, essendo quella la volontà Sua.

Udita la volontà, del Padre mio, e confortato dall’angelo, mi alzai da terra con generosità, bramando di adempirla. Riacquistate le forze, adorai di nuovo il Padre, lo ringraziai del conforto inviatomi, e gli offri tutto ciò che avevo patito, in sconto di tante offese del genere umano, supplicandolo di molte grazie per tutti i miei fratelli, in virtù di quello che gli offrivo.
Mentre stavo agonizzante, vidi tutti i miei fratelli ad uno ad uno, e non solo vidi tutte le offese che avrebbero fatte al Padre mio, ma anche tutti i loro bisogni e necessità, sia spirituali che temporali, e ne intesi compassione. Perciò, riavuto dalla penosissima agonia, pregai il divin Padre per tutti in generale, e per ciascuno in particolare, affinché si fosse degnato di soccorrerli con la sua divina grazia, secondo il loro bisogno. Gli domandai questo, in virtù di quanto avevo patito. Il Padre così fu placato per le offerte che gli avevo fatto e per la contrizione che per tutti avevo avuta e vidi, che non avrebbe mancato di fare quanto gli chiedevo. Di questo intesi consolazione, benché fu più l’amarezza e soffri, nel vedere il gran numero di quelli, che se ne sarebbero abusati. 

Supplicai ancora il Padre di dare ai miei fratelli un vero dolore di tutte le loro colpe, quando gliel’avessero domandato con umiltà, e specialmente a quelli, che, stando vicini alla morte, nella penosa agonia, ne hanno grande necessità. Questo glielo domandai in virtù della contrizione che io ebbi, allorché ero agonizzante. Vidi che il Padre gliel’avrebbe dato, e che molti, per questa contrizione, si sarebbero salvati. Io ne intesi consolazione e ne resi grazie al Padre. Ebbi però dell’amarezza, nel vedere che molti se ne sarebbero resi indegni, perché durante la loro vita, non l’avrebbero richiesta mai al Padre, ed in morte non se ne sarebbero neppur curati, per cui sarebbero periti miseramente. Gli domandai ancora, in virtù della pena che soffri nella mia penosa agonia, che si fosse degnato di addolcire le amarezze dell’agonia a tutti i miei fratelli, e che, infine li avesse confortati, così come aveva fatto con me, mandandomi l’angelo confortatore. Il Padre tutto mi promise, e vidi che avrebbe tutto eseguito fedelmente con paterno amore. Di ciò gli resi le dovute grazie, anche a nome dei fratelli. 

Ottenuto tutto dal Padre, lo lodai e lo ringraziai per tanta misericordia e bontà, ed andai di nuovo dai miei apostoli, che dormivano, ma con timore, per quello che avevo detto loro prima; quindi soggiunsi che dormissero e riposassero anche, per quel breve tempo che ci restava, giacché non avevano potuto vegliare. Poi, ritirato di nuovo, mi offri al Padre, pronto a soffrire quanto mi era preparato nel corso della mia acerbissima passione, per adempire la sua volontà divina. Anzi, acceso da una brama ardente di patire, aspettavo l’ora con gran desiderio ed amore, perché si compisse l’opera dell’umana redenzione.

Andai a destare i miei discepoli, dicendo : «Alzatevi ed andiamo incontro ai miei nemici, perché si avvicina l’ora, nella quale il Figliuolo dell’uomo sarà dato in mano ai peccatori. Ecco, che si appressa il traditore ». Si destarono i miei apostoli, ma tutti sbigottiti, per le suddette parole, ed intimoriti, perché, non avendo orato, come io avevo ordinato loro, si trovarono privi della forza e della virtù, che suole apportare all’anima la fervente orazione. 

Hai inteso, sposa mia, come sia necessaria l’orazione; perciò ti stia a cuore la pratica di questo sì importante esercizio, non trascurandola giammai, perché tu sia ben provvista di armi per combattere contro i tuoi nemici infernali, contro le tue passioni, ed anche per ottenere dal Padre mio le grazie, per te per i tuoi prossimi. Offri spesso la contrizione che ebbi, in questa mia penosa orazione, con il sangue che sparsi, per la conversione dei peccatori e per ottenere il perdano delle offese e ti assicuro che il Padre mio gradirà molto quest’offerta; domandaGli anche una vera contrizione ed il dolore per te e per i tuoi prossimi, specialmente per i peccatori, perché piace molto al Padre mio un cuore contrito ed umiliato. Nella tua orazione domanda tutte le grazie necessarie per te e per i tuoi prossimi, e, se vedi che non sei esaudita, non ti perdere d’animo, ma continua a domandare. Non ti stanchino mai il tedio e la tristezza che, a volte, proverai in questo esercizio, ma uniformati sempre alla divina volontà. Hai inteso il modo con cui devi pregare e domandare: esponendo il tuo bisogno, o il tuo desiderio, e rimettendoti alla volontà del Padre. E, quando intendi la sua volontà, eseguila con prontezza, senza replica, senza turbamento, come feci io, quando, udita la volontà del Padre, che dovessi bere l’amaro calice, subito mi alzai ed andai incontro ai miei nemici. E fa tutto con amore e desiderio di dar gusto al mio divin Padre.

(dopo che hai letto le parole di Gesù a Suor Cecilia Baij, vedi anche =>> http://rivelazionicristiane.altervista.org/gesu-nel-getsemani-le-6-promesse-del-figlio-dio-si-ricorda/ )